Dolor y gloria (Film, 2019)
La speranza è che Dolor y gloria vinca la Palma d’Oro a Cannes. Mai premio sarebbe meglio assegnato, sia per valore narrativo che per impaginazione cinematografica, sospesa e bilanciata con perizia certosina tra presente e ricordo.
Pedro Almodóvar tira fuori il meglio di sé in questa ventiduesima pellicola dal taglio minimalista e melodrammatico, assegnando ad Antonio Banderas un azzeccato ruolo da alter ego – come Fellini aveva fatto con Mastroianni in 8 e mezzo – nel quale l’attore spagnolo si cala alla perfezione. Non tutto è autobiografia, certo, ma le crisi creative del regista Salvador Mallo, i suoi ricordi, l’omosessualità, le trasgressioni, gli amori giovanili, il rapporto con la madre, la scuola in seminario, i primi turbamenti, ricordano molto da vicino il vissuto del nostro autore. Poi c’è anche la storia proustiana del declino creativo di un regista che ha smarrito la vena narrativa ed è in preda a malanni di ogni tipo, mentre ricorda con nostalgia tutta la sua vita, dal trasferimento a Paterna con la famiglia, al primo grande amore, fino alla consolazione con il successo nel cinema e nel teatro, capace di colmare il suo vuoto esistenziale.
Dolor y gloria è un film molto teatrale, che contiene al suo interno persino un racconto grafico delle malattie del protagonista stigmatizzato da un elementare cartone animato, così come una parte è vera e propria prosa con un vecchio attore (Etxeandía) impegnato a mettere in scena un racconto autobiografico. Parti di pura poesia tratteggiano il rapporto d’amore con la madre, la sensazione di non essere stato un buon figlio – non come la madre avrebbe voluto – la difficoltà a superare la sua mancanza dopo la morte e il disperarsi per non essere riuscito ad accontentarla nel suo desiderio di morire al suo paese. Film autobiografico al cento per cento nella profondità dei sentimenti, anche se i fatti narrati non sono tutti reali, ma i luoghi e la casa di Almodóvar sono veri, così come sono reali le paure e le crisi del protagonista, che il regista vive ogni giorno sulla sua pelle. La paura di Salvador Mallo di non essere più capace di fare cinema per motivi fisici è il terrore sempre presente in Pedro Almodóvar che sottolinea con forza il potere salvifico che il cinema ha avuto – e continua ad avere – sulla sua esistenza.
Fotografia magistrale di José Luís Alcaine che cambia colorazione passando dal presente al ricordo, flashback e parti oniriche suggestive e ben amalgamate con la narrazione principale, musica suadente di Alberto Iglesias, con brani di Mina (immancabili) e della tradizione classica spagnola. Recitazione sublime di Antonio Banderas, nel ruolo della sua vita, sentito e sofferto, molto brava Penelope Cruz nei panni della giovane madre, così come sono diligenti Etxeandía e Sbaraglia nei ruoli maschili secondari.
Un film da vedere e da rivedere all’infinito, che ha la stessa valenza evocativa e immaginifica de Il posto delle fragole per Bergman e di Otto e mezzo per Fellini. Aiuta non poco conoscere Almodóvar nella sua parabola artistica, che comincia con la trasgressione pura per approdare al melodramma intimo, passando per il noir surreale e il genere passionale. Ma non è fondamentale, si può pure cominciare da Dolor y gloria per poi intraprendere un percorso di riscoperta che vada a ritroso nel tempo. Imperdibile.
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Regia: Pedro Almodóvar. Soggetto e Sceneggiatura: Pedro Almodóvar. Fotografia. José Luís Alcaine. Montaggio: Teresa Font. Musiche: Alberto Iglesias. Scenografia: Antxón Gómez. Costumi: Paola Torres. Produzione: Augustin Almodóvar, Esther García. Casa di Produzione: El Deseo. Distribuzione: Warner Bros. Interpreti. Antonio Banderas (Salvator Mallo), Penelope Cruz (Jacinta, madre di Salvador bambino), Aser Etxeandía (Alberto Crespo), Leonardo Sbaraglia (Federico), Nora Navas (Mercedes), Asier Flores (Salvador bambino), Cecilia Roth (Zulema), Raúl Arévalo (padre di Salvador bambino), Julieta Serrano (Jacinta anziana), Kiti Mánver, Pedro Casablanc, Suzi Sánchez, Carmelo Gómez, Julián López.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]