Italia, ascensore sociale guasto
“Chi nasce in una famiglia a basso reddito impiega circa 150 anni per raggiungere la media del suo Paese. In Italia sono necessarie cinque generazioni perché un bambino nato in una famiglia a basso reddito (tra il 10% più povero della popolazione) raggiunga il reddito medio nazionale. La mancata mobilità sociale mina la crescita potenziale e riduce la soddisfazione individuale, il benessere e la coesione sociale.”
E’ il fallimento della versione italiana del ‘sogno americano’, ma che trova conferma nelle recenti dichiarazioni di Francesco Micheli. Solamente i male informati possono stupirsi di questa situazione: sia Cottarelli che Cacciari da angolazioni diverse, quando li intervistammo lo scorso anno per il nostro giornale, individuarono il malessere italiano dovuto non tanto alla paura dell’immigrazione, ma questo era il riflesso di un paese il cui reddito reale era fermo da 20 anni.
L’argomento è stato sviscerato in corposo dossier di 355 pagine dell’OCSE datato 15 giugno 2018, dall’eloquente titolo “Broken elevator how to promote social mobility”, si è rotto l’ascensore sociale. Ancora più incidente sono le aspettative, di cui qualunque studente di economia e sociologia al primo anno conosce la vitale importanza, per usare un termine caro alle società di rating, l’outlook delle nuove generazioni segna negativo fisso. Il problema non è solo l’eventuale bassa retribuzione attuale o la precarietà dell’impiego al momento, ma la speranza che tale situazione possa evolversi in maniera positiva in futuro, non si tratta più di lavorare per migliorare la propria posizione sociale, ma di sopravvivere. Il rapporto OCSE riporta che il 50% degli individui nella classe di reddito più bassa tende a restare nella stessa classe nel corso del tempo (almeno 4 anni), percentuale che in Italia sono circa il 60%. Le caratteristiche negative dell’ascensore sociale fermo in Italia sono presenti in toto, medio-alta disuguaglianza del reddito, bassa mobilità intergenerazionale, bassa mobilità individuale nel corso della vita e bassissima mobilità sociale di classe; solo il 45% degli italiani ritiene che nel loro paese “essi hanno uguali opportunità di andare avanti, come chiunque altro”, contro una media europea del 58%.
Un solo fattore resta al vertice, il ‘vittimismo’, la colpa non è mai degli italiani, ma c’è sempre un fattore esterno, l’Europa, l’euro, l’immigrato clandestino, la Cina, la globalizzazione; solo il 44% degli italiani ritiene che “le cose che succedono nella loro vita sono giuste”, contro una media europea del 53%. Non per niente nella classifica del piagnisteo ci sopravanzano solo rumeni, portoghesi, spagnoli, ciprioti, bulgari, croati e greci, il ventre molle d’Europa! A ciò si aggiunga che se al momento dell’unità d’Italia i giovani under 30 erano il 60% della popolazione, oggi la quota si ferma ad appena il 28,4%.
Le cause del malessere? Immigrazione e globalizzazione sono fattori importanti? A questo proposito, se solo il 28% degli italiani ritiene che “l’immigrazione sia una buona cosa per la società in cui vivono” (contro una media europea del 39%), sono i cittadini di Malta, Croazia, Estonia, Romania, Cipro, Lettonia, Ungheria, Rep. Ceca, Bulgaria, Slovacchia e Grecia coloro che in misura molto minore sono della stessa opinione. Da buoni italiani confidiamo nelle ‘conoscenze’ per il 95%, nello ‘stellone’ per il 93%, nei ‘soldi di famiglia’ per l’88%, nelle ‘amicizie politiche’ per il 77% contro una media europea del 56%. Gli italiani sono peraltro primi anche in presunzione, non è una novità nemmeno questo, solo il 23% ritiene di essere al posto giusto nella scala sociale, contro una media europea del 30%. A chiusura possiamo ricordare, senza nemmeno riuscire a commentare questo dato, come la media dei laureati italiani si fermi al 28% contro una media europea del 33,5% e se parliamo di ingegneri dalle università ne esce solo il 24,5% con successo.
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