The Champ – Il campione (Film, 1979)
Franco Zeffirelli (Firenze, 1923 – Roma, 2019) è stato un regista colto e raffinato, diplomato all’Accademia delle Belle Arti, assistente di Luchino Visconti per La terra trema e interprete ne L’onorevole Angelina, successivamente collaboratore a Senso e aiuto di Pietrangeli. Scenografo teatrale con Visconti e regista di teatro, importante autore di teatro lirico. Nel 1957 ha diretto il suo primo film: Camping, interpretato da Nino Manfredi, del tutto estraneo al suo mondo visionario. Si è specializzato mettendo in scena testi classici e ricostruzioni storiche, ma anche adattamenti di opere liriche. Nel 1979 ha diretto un melodramma sportivo ambientato a Miami, ispirato alla saga di Rocky, che presenta qualche contatto con il cinema strappacuore per il finale drammatico e per la presenza di un bambino che vive in una famiglia distrutta. Vogliamo ricordarlo, pochi giorni dopo la sua scomparsa, rivedendo insieme un’insolita quanto interessante pellicola.
La storia. Billy cresce da solo il figlio Timmy di otto anni – che chiama con le iniziali T.J. – e lavora in un ippodromo, da quando la moglie l’ha abbandonato per sposare un uomo ricco e fare la vita del jet set. Billy è un ex pugile, alcolizzato e violento, incallito giocatore di poker, ma in fondo buono e innamorato di un figlio che segue con dedizione paterna. Un giorno vince una bella somma al gioco e gli regala un cavallo che il bambino iscrive a una gara assistendo impotente al suo grave infortunio. In tale occasione torna in ballo la madre, Amy, che rivede il bambino e chiede al marito di poterlo frequentare. Billy finisce in galera per aver provocato una rissa contro chi esigeva il cavallo in cambio dei debiti di gioco. Timmy per un certo periodo di tempo deve andare a vivere con la madre. Il piccolo non reagisce bene quando viene a sapere che Amy è proprio quella mamma che credeva morta, perché non capisce il motivo del suo abbandono, la rifiuta e si lascia andare a una crisi di nervi.
Quando il padre esce di galera ritrova il figlio sulle tribune dell’ippodromo e gli comunica la sua intenzione di rientrare nel mondo del pugilato. “Ti voglio tanto bene”, sussurra il padre, che in precedenza aveva finto di volersi liberare del figlio per fargli soffrire meno il distacco. La parte finale della pellicola è ispirata a Rocky, con Billy – che il figlio chiama con affetto Champ – intento a preparare l’incontro allenandosi con il vecchio manager. Billy torna sul ring, nonostante problemi di salute e acciacchi sconsiglino un nuovo incontro, ma lo fa per garantire un futuro al figlio. Il match di pugilato è ben fatto, con molte comparse e una ricostruzione perfetta dell’ambiente sportivo. Ferita al sopracciglio che fa temere la sospensione del match, ripetuti knock-out, cadute, sangue e passione in un incontro ricostruito secondo la vecchia scuola del cinema sportivo statunitense.
Finale melodrammatico con il vecchio pugile che vince l’incontro, ma muore negli spogliatoi, adagiato sul lettino, mentre il bambino si dispera. Il padre cerca il figlio: “Amy era qui. Sono stato contento. L’hai invitata tu?”. E poi il messaggio antidivorzista: “Io e lei siamo stati due stupidi”. In fondo il marito non avrebbe mai voluto lasciare la moglie ed è ancora innamorato di lei. Billy esala l’ultimo respiro. “Svegliati, Champ”, grida il piccolo. Entra la madre, incontro di sguardi e abbraccio intenso. Timmy ha perso il padre ma ha ritrovato una mamma che credeva perduta per sempre. Un dramma intenso ben realizzato che si conclude con una cupa dissolvenza in nero. Il finale è da lacrima movie, ma il tono del film è da commedia sofisticata nordamericana di ambiente sportivo che affronta il delicato problema del divorzio.
Un film antidivorzista, persino antifemminista, perché presenta la figura della madre in maniera del tutto negativa, interessata solo a carriera e denaro. Il padre è una figura positiva, tutto sommato, nonostante i difetti (beve, gioca, è violento), perché riconosce i suoi limiti e con il figlio si comporta in maniera impeccabile. Il rapporto padre-figlio è sviscerato con dovizia di particolari, tra sentimentalismo e realismo, presentandolo con immagini intense. Colonna sonora con sottofondo di musica cubana, che alterna momenti allegri e spensierati a sequenze melodrammatiche, secondo l’azione scenica.
Franco Zeffirelli è uno dei nostri registi meno legati alla tradizione cinematografica italiana, spesso accusato di stile calligrafico, ricorre a molti stereotipi del cinema sentimentale (gabbiani, tramonti, corse sul mare, fenicotteri rosa…) ma ambienta a dovere l’azione tra le palme e gli impianti sportivi di Miami. Regista dotato di uno stile formalmente perfetto, non sempre condivisibile per i temi affrontati e per le conclusioni proposte, dimostra assoluta padronanza del mezzo tecnico. Gli attori sono tutti bravi, a cominciare dal protagonista, Jon Voight, Premio Oscar 1978 per Tornando a casa di Hal Ashby, dove interpreta un reduce del Vietnam in sedia a rotelle, per finire con un’espressiva quanto perfida Faye Dunaway. Il piccolo Rick Schroeder – al debutto nel mondo del cinema – è ben calato nella parte, tra battute come “se un uomo non sa togliersi i pantaloni non è un uomo”, prese in prestito dal padre, lacrime sincere e crisi isteriche. Bravissimo. Una nota di merito a Zeffirelli che riesce a dirigerlo così bene. Vince un Golden Globe per l’interpretazione e l’anno successivo è protagonista de Il piccolo lord. Attore anche in età adulta, pure se interpreta soltanto ruoli commerciali e televisivi.
The Champ è un film che fa storia a sé nella cinematografia italiana, girato da Zeffirelli tra il televisivo e patinato Gesù di Nazareth (1977) e il romantico Amore senza fine (1981), non sembra un film europeo, anche perché l’unico italiano presente nel cast è il regista. Zeffirelli si mette al servizio di Hollywood e delle esigenze spettacolari per realizzare il remake dell’omonimo film girato nel 1931 da King Vidor. Produce niente meno che la Metro Goldwin Mayer. Un successo strepitoso: incasso nordamericano di trenta milioni di dollari e distribuzione mondiale. Da notare che Million Dollar Baby (2004) di Clint Eastwood presenta simili soluzioni drammatiche, anche se con maggior profondità, realizzando un apologo su dolore e perdono oltre ad affrontare il problema dell’eutanasia.
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Regia: Franco Zeffirelli. Soggetto: Frances Marion (romanzo omonimo). Sceneggiatura: Walter Newman. Fotografia: Fred J. Koenekamp. Montaggio: Michael J. Sheridan. Musiche: Dave Grusin. Suono: Jerry Jost, William McCaughey, Aaron Rochin, Michael J. Kohut. Operatore alla Macchina: Michael A. Benson. Assistenti alla Regia: Giuseppe Pisciotto, David Silver. Produttore: Dyson Lovell. Casa di Produzione: Metro Goldwin Mayer (USA). Durata: 121’. Interpreti: John Voight, Faye Dunaway, Rick Schroeder, Jack Warden, Arthur Hill, Joan Blondell, Strother Martin, Mary Jo Catlett, Elisha Cook, Stefan Gierasch, Allan Miller, Joe Tornatore.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]