Il dramma della Sea Watch
Veramente, in un caso come quello della Sea Watch, è terribilmente difficile, e persino doloroso, prendere posizione. Al di là degli show politico-televisivi di alcuni personaggi alla Saviano e anche di quei malconsigliati deputati del PD che sono corsi a bordo della nave, è impossibile non sentire fino in fondo pena per l’odissea di quella quarantina di disperati alla ricerca di un futuro un po’ migliore. Non occorre essere cristiani per questo, basta essere esseri umani e appartenere a un Paese civile. Il cuore porterebbe perciò a chiedere alle nostre Autorità di aprire le porte a quei poveretti e accoglierli tra di noi.
Però… però non è così semplice. Da un anno a questa parte, il Governo italiano – o per essere esatti il Ministro dell’Interno Salvini – ha adottato una linea dura, che tra l’altro comporta il divieto alla navi delle ONG di entrare nei nostri porti. Si può essere d’accordo o meno con questa linea (che non nasce, credo, da un capriccio o da una trovata elettorale, anche ad essa deve molto, ma da una situazione pesante che per anni ha creato all’Italia un problema insostenibile). Ma d’accordo o no, c’è un principio di legalità che deve essere sempre al di sopra di tutto. La responsabile della Sea Watch conosce le norme in vigore e ha scelto di sfidarle. Molto semplicemente, che Salvini ci piaccia o no, questo non deve essere permesso e la provocazione va sanzionata a termini di legge. Non so se in un caso del genere corrisponda l’arresto, una multa, o il sequestro della nave: sarà la Magistratura a giudicarlo. Ma il principio che le leggi si rispettano va sostenuto, altrimenti si finisce nel caos.
Le conseguenze, amministrative o penali, per la “capitana” e la sua nave non devono, però, lasciarci indifferenti alla sorte di quei poveracci che sono ancora a bordo. Se necessitano cibo, acqua, medicine, è nostro dovere fornirglieli. Se sono in serie condizioni di salute, curiamoli nei nostri ospitali. Se è possibile risistemarli in paesi di accoglienza, Italia inclusa, aiutiamoli. Ma manteniamo fermo il principio che l’Italia, solo perché è immersa nel Mediterraneo, non può essere il solo e neppure il principale punto di scarico di persone che vengono illuse, ingannate e alla fine sfruttate dai trafficanti di vite umane. E paesi come l’Olanda, a cui la Sea Watch fa capo, francamente la smettano di lavarsene le mani! Se no l’Europa diverrà sempre più una parola vuota e un ideale superato. Con un danno irreparabile per tutti gli europei, noi compresi.
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