Libia e Italia
L’offensiva del generale Haftar contro il Governo di Tripoli sembra per ora essere stata bloccata a ottanta chilometri a sud di Tripoli, dove l’esercito regolare ha ripreso una cittadina considerata chiave per l’avanzata ribelle.
La Repubblica ha dato la notizia che il Primo Ministro libico, Serraj, è volato a Milano per incontrare Salvini (Conte era a Bruxelles e magari Serraj ha capito chi è l’uomo forte oggi in Italia). Salvini si sarebbe mostrato, come da aspettarsi, interessato soprattutto agli aspetti della situazione che riguardano il controllo dell’immigrazione dalle coste libiche. Serraj avrebbe a sua volta richiesto un maggiore e più esplicito appoggio dell’Italia al suo governo, sia sul piano politico che con la fornitura di armi, intelligence, aiuto medico. A Tripoli ci si lamenterebbe infatti che la posizione italiana sia stata troppo equidistante (così l’aveva definita all’inizio della crisi lo stesso Conte) e quindi non sufficientemente utile ad un governo riconosciuto dall’ONU e, nell’insieme, amico dell’Italia.
All’inizio dell’avanzata di Haftar, avevo scritto che una posizione di equidistanza era a mio modo di vedere difficile da mantenere e probabilmente poco utile. Si trattava di capire da che parte stesse veramente Haftar (a quanto si sa, sostenuto da Francia, Egitto, Arabia Saudita e forse Russia) e decidere in conseguenza se avversarlo o favorirlo.
Cosa abbia fatto il Governo italiano da allora, non lo so ed è naturale che non lo si sappia. Ora però penso sia venuto il momento di prendere chiaramente posizione e agire in conseguenza. Non possiamo stare dalle due parti allo stesso tempo. Non si tratta solo di come meglio frenare l’immigrazione, ma di come contribuire a stabilizzare un paese che è importante per i nostri interessi e la nostra sicurezza. Molto più di quanto lo siano la Sea Watch o le polemiche, più o meno pretestuose, con la Germania o l’Olanda.
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