Comfort zone e muri interiori

Esistono libri di management, corsi di self improvement, di motivazione e di molte possibile branca delle scienze psicologiche e sociali, in cui si contesta a molti di voler rimanere nella propria cosiddetta comfort zone, quell’area personale, fisica e/o mentale, dove niente e nessuno potrà entrare. I più danno consigli per uscirne, sostenendo che la felicità inizia proprio fuori dalla comfort zone, in un’area fatta di novità, di mistero, di sfide e futuro da esplorare e magari costruire: nuove idee, nuovi progetti, nuove persone da conoscere. Magari fosse anche solo una vacanza in un luogo diverso da dove qualcuno la trascorre ogni anno, o lasciare il posto di lavoro per andare a cercare di salvare una specie in via di estinzione. Lasciare la comfort zone potrebbe voler dire mandare a quel paese il capo e aprire un’attività in proprio: quasi lo stesso piacere del rischio, la sfida al pericolo che potrebbe dare un viaggio in solitaria in barca a vela o aprire una piadineria su una spiaggia dei Caraibi. Qualcuno lo fa. I più restano però in quella sfera di sicurezze intangibili e garantite. Ad ogni costo: resistere, resistere, resistere. E non si vuole citare il grido di un magistrato recentemente scomparso, bensì porre in evidenza come questo sia il grido di guerra di molti che sia accontentano della loro esistenza quotidiana (per carità, nulla di male a fronte di scelte consapevoli), e continuano a tenere intorno a sé stessi quel muro che li protegge da interferenze esterne.

Ma, come scrisse Italo Calvino: se alzi un muro pensa a ciò che lasci fuori. Però in molti, per ricordare un altro importante autore, troppo citato e poco letto, Gianni Rodari, “molta gente non lo sa, non gli importa e non se ne cruccia; la vita la butta via e mangia soltanto la buccia”.

Ne abbiamo esempi quasi quotidiani e, il più evidente, lo stereotipo creato e modellato sulle spalle degli italiani, purtroppo forse poco capito, è il ragionier Fantozzi. Paolo Villaggio quando scrisse i primi episodi del suo celeberrimo personaggio, non è dato sapere quanto volesse essere solo autore o pungente cinico osservatore: in ogni caso il risultato è stato grandioso, e il ragionier Ugo Fantozzi resta un simbolo e, al contempo, un concentrato di luoghi comuni che, a distanza di cinquanta anni, permangono e sono stati ribaditi da Checco Zalone. Non è forse il posto fisso la più grande certezza che tutti sognano, vogliono e, una volta ottenuto, non intendono certo abbandonare?

Ma né il personaggio di Zalone, né il ragioniere di Villaggio oserebbero mai farlo. In anni di angherie nella mega ditta, mai per un solo minuto neppure passa in mente di cercare una nuova dimensione, un nuovo spazio, una nuova identità. Il posto fisso e la certezza di arrivare alla pensione. La panacea di ogni male e lo stimolo maggiore a non mettere in pericolo le certezze.

Dal mondo del lavoro la comfort zone si può propagare nelle relazioni sociali: il non lasciare il marito o la moglie con cui non si va d’accordo ma dai quali sappiamo che cosa aspettarci può essere il più valido degli esempi. In quanti, pur infelici, scelgono di non lasciarsi al pensiero di “quando mai troverò un altro/a mi prende?” Sono gli stessi luoghi comuni di chi, ad esempio, non proverà mai la cucina cinese “perché non voglio mangiare un cane”, o quella giapponese “perché il pesce se non è cotto porta virus o infezioni.” Non parliamo poi di coloro che non voterebbero mai un partito diverso perché fermamente convinti delle posizioni del proprio, magari ormai anacronistiche e superate, ma fondate su una incrollabile fede nel dogma.

E non possiamo non rilevare che internet sembra, ancora una volta, ingigantire il problema. Ancorché sia un formidabile strumento come possibilità di accedere alla conoscenza, al sapere, alle informazioni, sono purtroppo in molti ad utilizzarlo per creare intorno a se stessi muri impenetrabili anche ai più astuti hacker. Un navigatore della rete ben può paragonarsi a un naufrago volontario che, dalla sua isola, manda messaggi non in bottiglia, ma mediante post, tweet, storie e commenti, nella speranza che vengano recepiti, nel modo in cui lui vuole, da un suo simile?

Non è forse una importante comfort zone, la tastiera di un PC o uno smartphone dalla quale poter vedere ciò che accade intorno, non essere attaccati e lanciare i propri segnali con parsimonia, cercando di non spezzare equilibri? A qualcuno è riuscito meglio, e si chiamano influencer; ma anche loro hanno costruito una loro sfera di certezze e, sfruttando lo strumento, con intelligenza e acume, lo usano per raggiungere le sfere di altri naufraghi volontari.

Come nel lavoro e nelle relazioni sociali, anche in rete ognuno si attacca alla propria comfort zone e innalza il suo muro, restando sui suoi siti e non affronta il rischio di pagine sconosciute o che lancino altri messaggi diversi.

Che cosà è, alla fine, tutto ciò? Si chiama semplicemente paura del diverso. E non è necessario scrivere un trattato per capire il pericolo e i rischi che possono nascerne, non solo per i singoli, ma anche come limite al progresso sociale.

Un’ultima considerazione è infine doverosa, per tutti coloro che combattono per restare nella loro comfort zone e che, lo vediamo, spesso ne parlano o si lamentano della loro situazione ma non fanno niente per uscirne: Lamentarsi non costa niente, cambiare invece richiede un prezzo da pagare e lavoro da compiere. Ad iniziare da quello interiore.

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