Agrifood Monitor 2019
Nel decennio 2008-2018 l’import agroalimentare in Giappone di prodotti italiani è aumentato del +51%, nel 1° quadrimestre dell’anno corrente l’incremento è stato del +13%. E’ per analizzare questo mercato, anche alla luce del JEFTA entrato in vigore lo scorso 1 febbraio, che si è svolto, nella splendida cornice del Palazzo di Varignana, l’AGRIFOOD MONITOR 2019 organizzato da Nomisma e CRIF.
Per le proprie caratteristiche il Giappone è una nazione fortemente votata all’import di prodotti agroalimentari, piazzandosi al 5° posto nel mondo con un valore import superiore ai 57 miliardi di euro. Come in altri mercati dell’estremo oriente l’Italia non è tra i principali fornitori in termini assoluti, arrivando a una percentuale del 1,5%, ma si tratta di linee di alto profilo qualitativo, concentrandosi su prodotti quali vino (aumento tasso medio annuo del 4%), formaggi (5,9%), olio d’oliva (7,5%). Proprio grazie al JEFTA i nostri prodotti diventeranno ancora più convenienti rispetto i nostri principali competitors sul mercato giapponese, nel caso parliamo di USA, Australia e paesi asiatici. Se l’1,5% può sembrare poco, si deve tenere conto che la crescita in valore è aumentata del 50% nel decennio scorso, passando da 537 a 865 milioni di euro.
Una crescita che è continuata nel primo quadrimestre del 2019 con un +13% di prodotti italiani rispetto un +9% totale, con il JEFTA che non ha ancora pienamente dispiegato i suoi effetti. Entrato in vigore il 1 febbraio è destinato ad azzerare dazi e barriere non tariffarie sui prodotti agroalimentari europei. Per comprendere appieno l’importanza del trattato di libero scambio con Tokyo, si deve considerare che prodotti made in Italy quali vino, pasta e formaggi, erano gravati di dazi dal 15% al 40%.
Sono questi i temi affrontati durante il IV Forum Agrifood Monitor composto da un panel di altissimo livello che ha visto la presenza dell’ambasciatore Umberto Vattani, presidente della Fondazione Italia- Giappone, di Paolo De Castro, europarlamentare, Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, Daniele Salvagno, presidente di Redoro Frantoi Veneti, Gian Paolo Gavioli, direttore commerciale Caviro nonché di Koji Misawa, direttore commerciale di Elisir co. Ltd e Miciyo Yamada, giornalista ed esperta di consumi alimentari nel mercato giapponese.
Il Forum è stato aperto da Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma, che ha affrontato anche il problema del maggior costo dei nostri prodotti rispetto la media dei nostri competitors, con l’olio extravergine di oliva che si piazza a 5,6 euro/kg. contro una media di 5 euro/kg. Ma anche per quanto riguarda i formaggi, l’Italia presenta il posizionamento di prezzo più alto su questo mercato rispetto a tutti i diretti competitor (7,64 €/kg di prezzo medio all’import contro 3,62 euro dell’Australia o 3,97€ degli Usa). “Sebbene il Giappone pesi solo per il 2% sull’export agroalimentare italiano, la rilevanza di questo mercato è molto più strategica per alcuni prodotti, sia oggi che in prospettiva. Basti pensare all’olio d’oliva, dove il paese del Sol Levante incide per il 7% sull’export di questo prodotto del Made in Italy e arriva al 17% nel caso degli olii esportati dal Sud Italia. Il posizionamento di prezzo più elevato dei nostri prodotti riflette una composizione del paniere esportato di più alta qualità che a sua volta discende da una maggior attenzione del consumatore giapponese verso il Made in Italy. Ma se vogliamo aumentare la nostra penetrazione nel mercato giapponese, oltre alla spinta propulsiva che può arrivare dall’accordo di libero scambio, dobbiamo capire bene come siamo percepiti presso il consumatore locale, qual è la reputazione dei nostri prodotti agroalimentari e soprattutto come possiamo conquistare la sua fiducia, chiave di volta per costruire rapporti consolidati di fornitura”.
“La survey che abbiamo realizzato in occasione del Forum su 1.100 consumatori giapponesi ha confermato l’Italia come il paese più rappresentativo del food di qualità nel percepito della popolazione, surclassando sia la Francia che gli Stati Uniti, questi ultimi principali fornitori di prodotti agroalimentari nel mercato giapponese. Non tutti i consumatori, però, si dicono pronti ad acquistare ad occhi chiusi un nostro prodotto: la stragrande maggioranza dei giapponesi, infatti, è sensibile al prezzo e razionale nelle scelte di acquisto. Si tratta dei “Tradizionalisti-cauti”, il gruppo individuato tramite la cluster analysis di Agrifood Monitor in cui ricade ben il 48% dei consumatori. Il secondo gruppo più numeroso è rappresentato dai “Millennials Sperimentatori” (36%), giovani dai 18 ai 38 anni, curiosi, aperti alle novità sono attratti dalla cultura occidentale e per questo la propensione all’acquisto di prodotti Made in Italy è più elevata della media. Ma il segmento più interessante per il nostro Made in Italy è rappresentato dai “Giramondo spensierati” (10% della popolazione): consumatori della Generation X (39-54 anni) con alta capacità di spesa, amano viaggiare e conoscere nuove culture. Internet, degustazioni, cooking show, abbinamento cibo-vino sono le parole chiave per conquistare questo tipo di consumatori.”, ha evidenziato Evita Gandini, Project Manager dell’Area agroalimentare di Nomisma.
“Nel settore agroalimentare come del resto in molti altri comparti della nostra economia, lo sviluppo dell’export è un processo complesso per le imprese, specie per quelle di piccola dimensione. Molto spesso per una PMI entrare in un nuovo mercato significa sostenere investimenti economici e di tempo per gestire procedure doganali, attività fieristiche, di comunicazione e distribuzione. Essendo partner di oltre 15.000 aziende in Italia, possiamo affermare che le PMI che hanno maggior successo nell’export sono quelle che riescono ad accelerare la fase di ricerca degli importatori e distributori utilizzando i canali digitali ma anche riuscendo ad individuare, avvalendosi di servizi specializzati, i potenziali partner prima ancora di investire in trasferte e attività di promozione su mercati lontani.”, ha concluso Marco Preti, Amministratore Delegato di CRIBIS.
[NdR – Si ringrazia Nomisma e CRIF per la consueta professionale disponibilità e collaborazione, oltre al Dott. Denis Pantini per la documentazione]
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