Cronache dai Palazzi

Ipotesi di governo. Continuano le consultazioni al Quirinale in attesa di un altro giro di confronti previsto per martedì (27 agosto) perché “il presidente della Repubblica ha il dovere, ineludibile, di non precludere l’espressione di volontà maggioritaria del Parlamento”, come ha affermato il presidente Mattarella. L’ipotesi più assecondata è un governo rosso-giallo Pd-M5S, due partiti che si sono fatti la guerra in passato che adesso sembrano essere predisposti ad adottare una soluzione comune, e occorrerebbe farlo “in tempi brevi”. Per adesso sono solo prefigurazioni ma ben presto occorrerà risolvere l’impasse per il bene del Paese arenato poco prima del varo della prossima legge di Bilancio.

La crisi di governo aperta a cavallo di Ferragosto è di certo piena di incognite e martedì il Colle si aspetta un nome condiviso destinato a Palazzo Chigi. “Sì all’avvio di un governo con una nuova maggioranza e nel segno della discontinuità”, è stata la clausola del segretario dem, Nicola Zingaretti, che ha avanzato un deciso ‘no’ di fronte ad un eventuale Conte-bis.

Il capo dello Stato, a sua volta, auspica un presidente del Consiglio dal profilo politico, autorevole che sia alla guida di un governo in grado di durare in quanto fondato su una solida maggioranza anche in Parlamento. Per ora però non è stato proclamato nessun nome.

“Tempi brevi” perché lo richiede “un Paese come il nostro” che non può continuare a navigare nell’incertezza. “Con le dimissioni di Conte, che ringrazio – ha affermato il presidente della Repubblica -, si è aperta la crisi con una rottura polemica tra i due partiti”, e ora occorre agire “con sollecitudine”.

Qualora martedì non si prefiguri nessuna ipotesi di governo il capo dello Stato potrebbe avviare la realizzazione di un cosiddetto ‘piano B’, ossia la formazione di un governo elettorale in funzione di un celere ritorno alle urne. Il voto, però, ha affermato Mattarella è un’extrema ratio anche perché il ritorno a nuove elezioni a distanza di poco più di un anno bollerebbe questa legislatura come la più breve della Repubblica. Comunque la sintesi del Colle è stata inequivocabile: senza una nuova maggioranza chiara non ci sarebbe altra scelta che il ritorno alle urne.

La nuova squadra di governo potrebbe giurare nel giro di pochi giorni per presentarsi alla Camere per la fiducia dopo il 2 settembre. Senza un accordo, invece, il presidente della Repubblica scioglierebbe le Camere firmando il decreto con cui il presidente del Consiglio indice le elezioni in un arco di tempo tra i 45 e i 70 giorni. Occorrono inoltre ben 60 giorni per le varie pratiche per il voto all’estero. Il voto in ottobre è ormai impossibile e la prima data utile potrebbe essere il 3 novembre, con l’eventualità che i tempi si allunghino ancor di più. In verità, fino ad ora, tutti i partiti hanno presentato al presidente opzioni di governi alternativi più che la volontà di un reale ritorno alle urne. “Sono possibili solo governi che ottengono la fiducia del Parlamento – ha ribadito il Colle -, con accordi dei gruppi su un programma per governare il Paese”. Ma occorre procedere celermente adottando “decisioni chiare” e in “tempi rapidi”.

Votare a novembre, inoltre, vorrebbe dire compromettere, o comunque ostacolare, il varo della legge di Bilancio, un fattore da non sottovalutare e che desta preoccupazione al Quirinale data la debolezza dei nostri conti pubblici.

Di fronte all’ipotesi di un governo “MaZinga” – dalla crasi tra i cognomi dei due leader Di Maio e Zingaretti – fondato sull’alleanza tra i dem e i pentastellati, Matteo Salvini sembra disposto a ridiscutere squadra e programma con gli ex alleati soprattutto per non favorire la “vecchia politica. “Ho detto a Mattarella che un accordo contro per tirare a campare tra Pd e M5S è la vecchia politica”, ha affermato il leader del Carroccio aggiungendo: “Diamoci un tempo e un obiettivo non contro ma per, io da uomo concreto non porto rancore, guardo avanti, mai indietro”. La proposta del leghista è la seguente: il leader pentastellato presidente del Consiglio, Giuseppe Conte commissario Ue e lui vicepremier unico restando al Viminale. I Cinque Stelle non sembrano però predisposti ad un ritorno di fiamma dopo il tradimento, e l’ex sottosegretario di Palazzo Chigi, il leghista Giorgetti, ribadisce che, dopo tutto, non dovrebbe far “paura” stare all’opposizione.

Nel frattempo si fa strada l’accordo tra i Cinque Stelle i Democratici e uno degli ostacoli più duri da superare sembra essere  il taglio dei parlamentari che i grillini considerano “il presupposto per il prosièguo della legislatura”, mentre nel corso delle consultazioni i dem del segretario Zingaretti hanno puntualizzato il loro “no” a questa riforma, suscitando tra l’altro l’irritazione dei renziani in quanto sarebbe un “no” non concordato all’interno del Nazareno. In definitiva non si tratterebbe di una contrarietà netta, ci sarebbe bensì la volontà di rivedere il testo conciliandolo con una nuova legge elettorale proporzionale.

Tra le proposte dem c’è anche la revisione dei due decreti Sicurezza, in particolare del decreto Sicurezza bis recentemente approvato, rispetto al quale anche il presidente Mattarella ha a sua volta evidenziato delle “criticità” in sede di promulgazione, in particolare per quanto riguarda le sanzioni eccessive e il rispetto dell’obbligo di salvare le vite umane in mare.

Sarebbero comunque diversi i punti sui quali potersi accordare a partire dalla prossima manovra finanziaria. Accantonando la flat tax, si punterebbe ad esempio sul taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori. I Cinque Stelle sembrano inoltre non voler abbandonare la volontà di introdurre il salario minimo di 9 euro lordi per legge e per tutti. Il Pd, invece, procede con cautela per tutelare i contratti collettivi di lavoro e non condividerebbe pienamente il Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei pentastellati. Le distanze tra i due fronti potrebbero comunque essere facilmente colmate.

La visione comune abbraccia anche l’ambiente, con un’Italia rinnovabile al 100 per cento, un “Green New Deal” da realizzare nell’arco di dieci anni come prefigurato dal Movimento Cinque Stelle, e uno “sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale” come ipotizzato dal Pd. A proposito di immigrazione il Pd pretende una “svolta profonda” per quanto riguarda le politiche messe nero su bianco dal governo Conte e i pentastellati continuano a chiedere misure a “contrasto del fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, con politiche mirate della Ue nei paesi di provenienza e transito”, senza dimenticare un’eventuale modifica del Regolamento di Dublino. Ed infine la tutela dei beni comuni quali la scuola pubblica, l’acqua pubblica, la sanità pubblica. Tra gialli e rossi sembrano essere diversi i punti sui quali potersi accordare. Una discussione più ampia, invece, si prevedrebbe a proposito di altri tre punti enunciati nel decalogo dei 5 Stelle: la riforma della giustizia (dimezzare i tempi della giustizia e nuovi criteri per il metodo di elezione del Csm), una riforma del sistema bancario e un piano di investimenti per il Sud con l’istituzione di una banca pubblica che elargisca finanziamenti alle imprese. Sintonia piena infine sulla lotta all’evasione fiscale e sulla proposta di una maggiore tracciabilità dei flussi finanziari.

Nel primo confronto tra i due leader, Di Maio e Zingaretti, “non sono emersi ostacoli insormontabili” ma la strada verso l’accordo Pd-M5S appare alquanto tortuosa e tutta in salita e, tra l’altro, ogni partita resta aperta, compresa quella con gli ex alleati leghisti che nelle ultime ore si sono dimostrati piuttosto concilianti in quanto disposti a rinunciare a qualche puntello pur di evitare il governo rosso-giallo. “Prendere o lasciare” – e per di più in breve tempo – sembra essere stato l’ultimatum imposto ai dem dai pentastellati.

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