Identità fake
Il nome di John Doe, i più lo hanno imparato guardando qualche film poliziesco o serie TV come Law and Order. È il nome in codice che viene usato dalla polizia americana per indicare un cadavere ancora senza identità. Come dire, un tipo qualsiasi. Un qualsiasi Mario Rossi: un Tizio o Caio. Ma John Doe può rivelarsi anche una potentissima arma i cui effetti, specialmente oggi, sono devastanti.
Arriva John Doe (Meet John Doe) è un film del 1941 di Frank Capra, quasi ottanta anni fa, in cui Gary Cooper, prima di Mezzogiorno di fuoco, ma dopo avere già interpretato Beau Geste e pronto per il suo primo Oscar per Il sergente York, impersona al meglio un uomo qualunque che si trova, suo malgrado, coinvolto in una vicenda più grande di lui.
Una giornalista (Barbara Stanwick), per paura di essere licenziata, si inventa la storia e il personaggio di John Doe, un uomo deluso dalla vita e dai suoi concittadini, che annuncia con una lettera al giornale, il suo prossimo suicidio. Enorme il seguito tra i lettori. La storia si snoda al punto di imporre alla giornalista di ingaggiare un giocatore di baseball fallito per fargli interpretare il misterioso John Doe che, appena si presenta l’occasione, viene utilizzato dal politico di turno che avrebbe voluto sfruttare a fini elettorali i comitati di sostegno nati per supportare l’uomo. Ovviamente il film termina con il consueto lieto fine tipico dell’era d’oro di Hollywood. Ma già nel 1941 Frank Capra aveva probabilmente profetizzato quello che può essere il peso di una notizia falsa se divulgata nel modo migliore per far presa su qualcuno.
La vogliamo rapportare ai tempi moderni? Potrebbe esistere un John Doe ai tempi di internet? Esiste. Lo vogliamo chiamare Luigi o Mark Caltagirone? È la regola, purtroppo; non l’eccezione. In quanti non sono caduti nella tentazione di crearsi un profilo fake sui social per far credere al potenziale partner da accalappiare di essere un pilota o una fotomodella? A chi non è capitato di imbattersi in una notizia palesemente falsa ma, anche solo per un attimo, porsi il dubbio se vi potesse essere un filo di verità? La punta dell’iceberg è l’invenzione totale di un personaggio e la triste vicenda di chi, per ottenere un po’ di visibilità o popolarità andata perduta, è ricorso ad inventarsi la storia di un matrimonio che s’ha da fare o non fare, infarcendola anche con bambini, pur di comparire nei contenitori pomeridiani di programmi volutamente strappalacrime, nazionalpopolari, ma di sicuro appeal su un pubblico che rifugge dalla realtà. Quella vera, intendiamo.
E allo stesso modo vogliamo ritenere che siano reali, vere, le identità e le facce dei protagonisti dei vari reality? Non sono forse personaggi creati ad arte per gli scopi non solo degli stessi protagonisti, in primis quello di dover apparire, ovunque e comunque, ma anche di dover mantenere questa visibilità per non correre il rischio di finire il giorno dopo nel dimenticatoio?
Internet muove la società, i rapporti, le comunicazioni ad una velocità tale che il personaggio di ieri è già superato dalla generazione successiva. Ed ecco che anche le singole identità devono cambiare per poter essere adatte al momento; anche a costo di fare un nuovo tatuaggio da poter esibire in un post o un video.
E fin qui abbiamo solo parlato di fake individuali, volontari e voluti per autocelebrazione, ma abbiamo già avuto dimostrazioni di come storie palesemente false possano influenzare addirittura un’intera campagna elettorale ed il suo risultato. Vogliamo ricordare le centinaia, o migliaia, di condivisioni di foto o apparenti dichiarazioni di politici palesemente false solo per creare disinformazione o di clamorose bufale prese per vere? La foto di una presunta cugina di Renzi (ma forse anche di altri politici) assunta come portaborse al senato ad oltre 23.000,00 euro al mese ebbe oltre quarantamila condivisioni su Facebook. Peraltro, una bufala può essere usata anche ironicamente o al fine di smascherare l’assoluta ignoranza di chi la prende per buona: basterebbe ricordare le centinaia di migliaia di risposte alla provocazione lanciata, sempre su una pagina Facebook, per adottare o no i numeri arabi in Italia. Il più gettonato, ma sintomatica, sembra sia stato: “ruspa”, unito ai molti “se li usassero a casa loro.” E qui ogni commento è davvero superfluo.
Il film di Frank Capra dimostra come una notizia spudoratamente falsa, possa espandersi a macchia d’olio, essere presa per vera, avere conseguenze che potrebbero sfuggire al suo stesso inventore o andare addirittura oltre. Pensiamo ad una notizia messa in giro ad arte per speculare in borsa o spostare un’intenzione di voto.
Che anche Capra, come Orwell, avesse previsto il futuro? Altro che Nostradamus.
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