I bulli in difficoltà

Basta vederli fotografati insieme, Donald Trump e Boris Johnson,  per capire che sono fatti della stessa, sgradevole pasta. Estrema destra, autoritarismo, scarsissimo rispetto per le istituzioni democratiche, disprezzo per le opinioni diverse dalle loro e per chi le sostiene, linguaggio provocatorio e spesso violento. Insomma, due “bulli”.

L’ultima settimana non è andata bene per loro. La pubblicazione di una conversazione telefonica con il nuovo presidente ucraino, Zelensky, ha confermato quello che già circolava nella stampa: Trump ha chiesto all’ucraino il favore di promuovere un’inchiesta diretta a coinvolgere il figlio di Joe Biden in un affare di corruzione. Biden è al momento in testa alla lista dei possibili candidati democratici alle elezioni presidenziali del prossimo anno ed ha buone possibilità di battere Trump.  Questi non esita a usare tutte le armi,  anche sporche, per danneggiarlo (non è poi una grande novità nella politica americana e forse nella politica in generale). Questa volta, però, l’opposizione democratica ha reagito al più alto livello, quello della Presidentessa della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, preannunciando l’apertura di un’inchiesta in vista di una proposta di impeachment del Presidente per violazione della Costituzione e abuso di potere. Ricordiamo che di impeachment si era parlato a proposito del tentativo di Trump di alterare il corso dell’inchiesta dell’FBI sui rapporti con i russi, riconosciuto esplicitamente nel rapporto Muller. Ma l’idea era stata accantonata, perché ovviamente mancavano i numeri in Senato (a maggioranza repubblicana), ma anche nella stessa maggioranza democratica del Congresso, molti membri del partito, tra cui la stessa Nancy Pelosi, essendo contrari ad avviare una battaglia politico-legale in perdita.

Oggi, queste perplessità restano, anche se attenuate, tra i deputati democratici, e resta comunque l’obiezione insuperabile del Senato. C’è anche chi pensa e scrive che un eventuale azione di impeachment finirebbe al giovare allo stesso Trump, radicalizzando la situazione e obbligando i suoi simpatizzanti, anche quelli meno decisi, a schierarsi dalla sua parte. Non penso perciò che la cosa andrà avanti fino in fondo. Ma i democratici, e Biden in particolare, possono servirsene per continuare a discreditare politicamente un Presidente già questionato da una parte dell’opinione.

Il caso di Boris Johnson è diverso ma non poi troppo. Il Primo Ministro inglese aveva strappato dalle mani della May la guida del partito e del governo servendosi delle sconfitte parlamentari sul tema della Brexit, che l’avevano obbligata a dimettersi. Si è imposto come l’uomo forte, capace di recuperare i voti conservatori perduti a destra a favore di Nigel Farage, e con la promessa di chiudere la partita della Brexit, strappando un nuovo accordo all’UE o, in mancanza, portando la GB fuori dell’Unione alla data prevista del 31 ottobre anche senza accordo. Si è reso conto di avere un Parlamento diviso e indocile come al tempo della May e ha tentato il colpo: sospendere il Parlamento in modo da non permettergli di condizionare l ‘operato del governo. Il colpo, però, non è riuscito: la Corte Suprema britannica, con decisione unanime, ha dichiarato la sospensione illegale e il Parlamento è tornato a riunirsi (aveva intanto avuto il tempo di votare una risoluzione che vieta l’uscita dall’UE senza accordo). Il solo risultato che ha avuto Johnson è di sollevare un’ondata di proteste e di indignazione in tutto il Paese, apparendo come autoritario e antidemocratico. Ha cercato allora di giocare la carta suprema: nuove elezioni, ma per ora il Parlamento non lo ha seguito.

Il tutto è peggiorato per la maniera davvero bullista con cui il Primo Ministro si è rivolto al Parlamento nell’ultimo dibattito. Nel Paese la breccia tra opinioni contrapposte si è pericolosamente allargata e tra Governo e Parlamento si è aperto un conflitto con pochi precedenti. Nel frattempo, tutti i problemi legati alla Brexit restano aperti, in particolare quello dell’Irlanda del Nord (con il famoso “backstop”) e non vi è nessun serio indizio che siano in via di soluzione.

Johnson giocherà a fondo la carta dell’uscita a tutti i costi, ritenendo che sia ciò che la maggioranza degli inglesi vuole. I Laburisti, disgraziatamente condotti da Jeremy Corbyn, continueranno con la loro irrisolutezza. E il futuro, almeno da qui al 31 ottobre, resta del tutto oscuro.

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