Egitto, fiction in rivoluzione
Loschi uomini politici, esazioni della polizia o corruzione in seno allo Stato: la fiction egiziana, coinvolta dallo spirito rivoluzionario, si è rinnovata, approfittando della sua nuova “libertà” per abbandonare le commedie classiche e gli intrighi di famiglia degni di una telenovela della miglior tradizione.
La rivoluzione che ha rovesciato il Presidente Hosni Mubarak, dopo 30 anni di regno senza condivisione alcuna, ha soffiato fino ai set dei più grandi produttori di fiction del Mondo arabo. Dal 25 Gennaio 2011 e dall’inizio delle rivolte popolari nate con la Primavera Araba, le serie televisive egiziane non sono più le stesse. Ora affrontano argomenti che prima si preferiva non toccassero perché colpivano le Istituzioni, forze di sicurezza comprese. “Ora , si parla di quello che vivono veramente gli egiziani”, afferma un noto critico cinematografico, Tarek El Shennawi. Nel 2012, la fiction “Taraf Talet” (Terza parte in arabo) metteva in scena un generale corrotto, interpretato da Ahmed Fouad Selim, attore molto famoso nel suo paese. Selim afferma che ha potuto impersonare quel ruolo solo perché la rivoluzione era passata di lì. “Prima, spiega, era impossibile evocare le forze dell’ordine senza che la censura interferisse”. Quando ha cominciato a scrivere, Mohamed Amine, che appartiene alla nuova generazione di sceneggiatori egiziani, doveva subdolamente manipolare la personalità dei poliziotti che metteva in scena. “Non si poteva parlare della corruzione della polizia”, dice, “in ogni caso non esplicitamente”. Ad ogni “cattivo” poliziotto descritto, c’era un “bravo” poliziotto che doveva ridare lustro all’immagine dell’istituzione. Ma “ora, niente più è vietato”, afferma. “Si può parlare di qualsiasi istituzione dello Stato”, afferma Selim, mentre prima, spiega Shennawi, “la critica poteva arrivare fino al Primo Ministro”, ma nessuno osava andare più in alto. Oggi, anche i temuti servizi della polizia non sono più intoccabili. Così, durante l’estate, la fiction “That al Ard” (sotterraneo, in arabo) affrontava un argomento particolarmente sensibile nel Paese, insanguinato da diversi attentati contro la minoranza Copta. La scena si svolge in una Chiesa: decine di fedeli assistono alla messa quando all’improvviso, un’autobomba scoppia. Nel corso dell’intrigo, si scopre che dietro all’attentato non ci sono i terroristi, ma i servizi di sicurezza: uno scenario inimmaginabile qualche anno fa.
Finite quindi le commedie famigliari che inondavano dagli anni ’60 i piccoli schermi da Casablanca a Sanaa, da Khartum ad Amman. Ora le fiction vogliono riflettere i cambiamenti politici e sociali in corso nei più popolati Paesi arabi. Devono però fare i conti con la concorrenza turca – che produce un flusso ininterrotto di storie d’amore doppiate in arabo – e la produzione siriana, che eccelle nelle serie storiche, anche se sta vivendo un momento molto buio dall’inizio del conflitto devastatore tra partigiani ed oppositori del Regime di Bachar al Assad. Nonostante tutto, ogni anno impossibile non scamparla: le fiction egiziane continuano a fiorire in occasione del Ramadan, riunendo ogni sera milioni di telespettatori di tutta l’area mediorientale. L’avvento delle televisioni satellitari e la moltiplicazione delle reti negli Stati che per lungo tempo si erano trovati sotto il giogo della rete unica controllata dallo Stato, hanno spinto tantissimi giovani a raggiungere il plotone di sceneggiatori, produttori e tecnici che popolano il mondo delle fiction egiziane. E tutti sono decisi ad approfittare delle loro nuove “libertà”. Ali Abou Shadi, critico cinematografico, è entusiasta: “non si potrà tornare sulle libertà acquisite”, assicura. Anche perché “la televisione, grazie alle sue reti private, non è legata allo Stato come lo è il cinema”. Ma in Egitto, una rivoluzione ne scaccia un’altra. Il 30 Giugno, milioni di egiziani reclamavano la dipartita del successore di Mubarak, l’islamista Mohamed Morsi, destituito tre giorni dopo dai militari. Questa “seconda rivoluzione”, teme Shennawi, potrebbe significare la fine della parentesi di libertà e il ritorno dei “tabù imposti ai creativi”.
Perché se il solo anno di presidenza dell’islamista Morsi non ha avuto tempo di avere qualche impatto sulle fiction, la sua destituzione ha “saldato” il pubblico dietro l’esercito, secondo lui, nel momento in cui “le forze di sicurezza riprendono le loro vecchie abitudini che potrebbero uccidere la libertà conquistata nelle produzioni televisive.”
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