Le elezioni spagnole
La Spagna ha votato per la quarta volta in quattro anni e per la quarta volta senza un risultato certo. I socialisti di Pedro Sanchez sono risultati in testa, con 120 deputati, meno però di quanto ne avessero avuti nelle precedenti elezioni e non abbastanza comunque da formare una maggioranza. I Popolari sono arrivati secondi, con 82 deputati. Crollati i liberali e ridimensionato Podemos, mentre la destra estrema di Vox raddoppia i suoi seggi.
Non è difficile rilevare che il trend è più o meno eguale in quasi tutta l’Europa: la destra avanza, diviene una forza di cui va tenuto conto, ma non riesce a conquistare consensi sufficienti da poter governare. Le sue proposte hanno il pregio della semplicità apparente, ma sono in realtà grezze e antistoriche. Grosso modo, rappresenta qualcosa tra il 20 e il 25 per cento dell’elettorato e in teoria resta esclusa dal potere. Ma di fronte ha una serie di partiti che, pur rappresentando nell’insieme i due terzi e più del Paese, non riescono coalizzarsi contro il nemico comune.
In Spagna, il tutto è complicato dalla questione della Catalogna, che crea una vera frattura anche all’interno dei maggiori partiti e comunque avvantaggia la destra nazionalista, ovviamente opposta all’indipendenza catalana. E, come in Germania e in Italia, la destra estrema trova radici in certe nostalgie per regimi morti e sepolti, ma che esercitano ancora un certo fascino soprattutto su chi non li ha vissuti in prima persona.
Cosa succederà ora è presto per dirlo. Sanchez – a cui comunque spetta l’onere e il diritto, almeno in prima battuta, di formare un governo – ha lanciato un appello a tutti i partiti perché non blocchino la formazione di un esecutivo. Ma chi saranno i suoi possibili alleati? Socialisti e Podemos, insieme, avrebbero una risicatissima maggioranza. Diverso è il caso di un’intesa PSOE-Popolari, che con più di 200 deputati dominerebbe il Parlamento.
Sulla carta, quindi, una coalizione alla tedesca dovrebbe imporsi, ma sappiamo quanto questo tipo di soluzione sia difficile e precario in paesi latini, individualisti ed irrequieti. Tanto più, nel caso della Spagna, che la questione catalana pesa come un macigno su qualsiasi ragionevole intesa programmatica tra sinistra socialista e destra popolare moderata. Lo vedremo. Speriamo che questo grande Paese sappia trovare la via di una lunga stabilità, perché l’Europa, della cui storia esso è parte importante, ne ha bisogno.
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