Federculture, il Rapporto Annuale 2013
Il 1° luglio alla Sala Promoteca del Campidoglio a Roma, in occasione dell’Assemblea Generale di Federculture, è stato presentato il Rapporto Annuale 2013. È stato questo il momento per fare il punto della situazione tramite i dati raccolti che rivelano l’andamento del settore culturale in Italia tra crescita economica e sociale.
Nell’ultimo anno il settore culturale, che aveva sopportato in somma parte gli smottamenti degli ultimi anni, ha avuto la peggio e non ne è uscito indenne. È stato infatti registrato il calo della spesa familiare in merito alla cultura e alla ricreazione (-4,4%), dopo 10 anni di crescita costante. La fruizione culturale è diminuita dell’11,8%, come del resto anche il numero di visitatori dei musei statali (-10%) e gli investimenti da parte dei Comuni e dei privati.
La tendenza a disinvestire in tale ambito (basti pensare alla spesa statale estremamente bassa che combacia quasi con quella danese) ha portato al decremento della competitività turistica e dell’attrattività. Si pone anche quest anno, con fermezza e proposte concrete urgenti di risposte immediate dal Governo, l’appello di Federculture per dare impulso allo sviluppo del Bel Paese (affinché rimanga tale) e in particolare in un periodo come quello corrente di recessione e vuoto di identità culturale.
Roberto Grossi, Presidente di Federculture, chiede che si estenda la fruizione dei beni, delle attività e dei servizi, la cui qualità è da promuovere, in concomitanza con l’incentivo dell’offerta e della produzione. Bisogna quindi mettere in atto una soluzione alla mancanza di politiche e risorse adeguate, alla burocrazia e alla politica invasive. Un ottimo inizio per fare della cultura il vero motore del progresso è l’introduzione della detraibilità delle spese.
«Il capitale umano è la risorsa più preziosa» sottolinea Grossi. Ecco un ottimo deterrente a puntare all’occupazione culturale soprattutto dei giovani, ovviamente da formare, per così creare un «legame di fiducia tra i cittadini, le istituzioni e la politica». Strettamente necessarie sono allora l’innovazione e la diffusione delle conoscenze per tornare a essere competitivi a livello internazionale e non perdere le occasioni offerteci.
In questo contesto ha preso la parola il neo Ministro per i Beni e le Attività Culturali Massimo Bray focalizzando finalmente l’attenzione secondo una prospettiva del tutto nuova dal punto di vista politico ed economico. Bray esorta ad andare oltre l’idea di cultura come “petrolio”; dice poi, quasi ricollegandosi all’opinione del Professor Settis, che «la cultura non è solo strategia, ma anche scelta di civiltà».
Bisogna così far sorgere un «nuovo percorso di senso» che «risulta interrotto nella comunità italiana. Dove il coinvolgimento dei privati non sia soltanto funzionale in termini commerciali, ma in grado di creare una vera e propria “alleanza” per la cultura».
Chissà che il suo apporto non si limiti prettamente a un discorso rassicurante in seguito da rinnegare a fronte di possibili critiche future mossegli dai pochi a conoscenza di queste parole caratterizzate da un potere, di entità non trascurabile, di donare speranza a chi si sente davvero e a chi dovrebbe sentirsi interpellato.
E per la tanto augurata assunzione di responsabilità collettiva nei confronti del tanto abusato appellativo di “bene comune” in riferimento al patrimonio artistico-culturale italiano: Verba movent, exempla trahunt (“Le parole impressionano, gli esempi trascinano”). Dichiarazioni compromettenti, un’affilatissima arma a doppio taglio, per un neo insidiato al Governo. Massimo Bray, confidiamo in te: non disilluderci.
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