Roberto Vecchioni e il suo Infinito
Roberto Vecchioni a Piombino, al vecchio Castello che fu prigione, adesso Museo della Città, quel Castello dove mio nonno raccontava che avessero imprigionato Arlecchino e Brighella, compari di Pasquale Mannucci, reo di aver mangiato tutti i cavallucci, lasciando a bocca asciutta i bimbi di Piombino per le feste di Natale.
Un pomeriggio da fiaba, proprio come questa storia, organizzato da Cover Green, con il professore della musica italiana che discetta di letteratura greca, filosofia della vita, letteratura, religione e poesia, incantando il numeroso pubblico presente. Vecchioni canta diverse canzoni, tra queste La viola d’inverno, Canzone per Giulio, La parola, L’infinito e l’immancabile Luci a San Siro, accompagnato dal grande chitarrista Massimo Germini, senza preoccuparsi della scarsa qualità acustica della sala e dei mezzi tecnici non all’altezza di un concerto. Fabio Canessa intrattiene il pubblico da consumato presentatore di eventi, facendo un raffronto tra gli ultimi libri di Vecchioni (Il mercante di luce e La vita che si ama) e il disco a tema L’infinito, un lavoro che va ascoltato come gli album di un tempo, come se fosse una lunga storia composta da dodici brani, leggendo i testi e ascoltando musica.
Vecchioni risponde alle domande con un fiume di parole, ma non sono parole inutili (l’importanza della parola è un suo tema), non sta vendendo l’aria a prezzi altissimi, per citare una sua vecchia canzone, sta spiegando la vita. E si resta incantanti nel sentire un vecchio comunista ateo (si definisce ancora così) parlare di Dio (Non ha importanza se ci sia o non ci sia, se c’è … è meglio!) e di Papa Francesco, di sentimento d’amore per la vita, di perdono, di un testamento in vita nell’ultimo disco, scritto da uno che vuole vivere ancora a lungo e fare un sacco di cose. “La vita è questo gran casino … il peccato è la perla dell’ostrica, diceva De André. Quel che importa è esserci, tutto il resto viene di conseguenza”.
Un disco leopardiano, L’infinito, che cita pure il Calvino di Se una notte d’inverno un viaggiatore, un lavoro colto, letterario, dove scopriamo che Leopardi non odiava la vita, non era quel pessimista cosmico che ci vogliono far credere, anzi si sentiva tradito da una vita che amava profondamente. Vecchioni canta l’accettazione della vita, il bello e il brutto, la vittoria e la sconfitta, cita la tragedia greca (Eschilo), l’eterno ritorno di Nietsche, Chesterton e Wilde, in un disco che celebra l’amore per la cultura. “La cultura ti dà conforto, apertura mentale, voglia di conoscere, istinto di sopravvivenza. La vita va vissuta in ogni attimo. La vita non è una sala d’aspetto, è un grande salone illuminato, come diceva Pasternak, ed è sempre degna d’essere vissuta”, afferma Vecchioni. “Ogni uomo costruisce il suo teatro per allontanare il pensiero della morte, per non aver paura di morire. Eschilo scrive la storia di Prometeo che mette nel cuore degli uomini delle speranze cieche. Si vive per cercare di realizzarle, centellinando le cose da ottenere, perché ci sono due modi per essere infelici: non raggiungere gli obiettivi e raggiungerli tutti”.
Vecchioni racconta alcune canzoni del disco, dice che in Formidabili quegli anni non ha messo nessuna nostalgia per il 68 ma solo il ricordo di un tempo che c’è stato. “Posso toccare il passato e lo sento con piacere. Ho scritto anche una canzone dove metto a contatto il primo amore e l’ultima donna, la paura di essere scoperti dai genitori, la prima volta, la serenità del rapporto coniugale”. Le polemiche della madre di Giulio Regeni sulla canzone dedicata al figlio lo fanno ancora soffrire, perché la canzone è un atto d’amore, racconta di una madre che non può credere morto il figlio e continua a vederlo nei momenti della sua esistenza. Una canzone piena d’amore, travisata come strumentalizzazione dal dolore di una madre, che Vecchioni comprende, al punto di esitare a lungo prima di inserirla nell’album. Vecchioni anticipa la trama di un prossimo libro su Ulisse che vive il suo lungo viaggio come un sogno, canta La viola d’inverno e spiega la storia del capo indiano che sente i tamburi della morte, intona un’elegia sulla fine della parola, racconta le vecchie copertine dei dischi anni Ottanta disegnate da Andrea Pazienza, cita i riferimenti musicali (Bruce Springsteen, Neil Young, Cat Stevens, Leonard Cohen…) e poetici (Kavafis). Non può evitare di salutare il pubblico con una struggente versione dal vivo di Luci a San Siro, cantata (come sempre) con le lacrime agli occhi.
A Piombino abbiamo avuto ospite il cantante più colto dell’era cristiana, un autore che ama tutte le sue canzoni, anche le più vecchie, un cantante che ogni volta è capace di renderle diverse e di emozionarsi. La battuta è di Fabio Canessa, ma la rubo troppo volentieri, tanto non se la prende, è un amico. Cover Green chiude alla grande il 2019, in attesa di preparare nuovi eventi per la prossima stagione. Stavolta abbiamo avuto la dimostrazione che la provincia può riservare grandi sorprese, persino in una ventosa serata d’autunno, quando il ponente soffia inclemente dall’Elba e fa alzare il bavero ai cappotti. Se partirai per Itaca ti aspetta un lungo viaggio… e noi come Ulisse abbiamo compiuto un viaggio a ritroso nel nostro passato, perché le canzoni di Vecchioni hanno accompagnato tutta la nostra esistenza.
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