Politica, tra immagine e Social

Oggi può un politico fare a meno della Rete? Può oggi un politico limitarsi a fare il proprio lavoro dormendo su una branda nel suo ufficio e rispondere solo al Parlamento? La risposta alla prima domanda è No. La risposta alla seconda vorremmo fosse un Sì, ma è difficile anche solo immaginare che possano tornare personalità come Ferruccio Parri che, oltre a dormire in ufficio quando era ministro dell’Interno, mangiava solo pane e salame.

Oggi tutto è visibilità, e per avere successo o riuscire in politica non contano i risultati, ma essere semplicemente visibili, dare eco alle proprie idee, giuste o sbagliate che siano, avere follower. Ne abbiamo la prova più evidente con il movimento dei Cinque Stelle, giusto al governo solo con la forza dei social e che mantiene i propri rappresentanti con qualche manciata di click. Lo abbiamo con Salvini, la cui presenza sui social lo mantiene alla guida della Lega più di quanto non abbiano fatto i suoi risultati quando era al governo. Ne abbiamo avuto l’ennesimo inutile ulteriore esempio con il movimento delle Sardine. Le masse si muovono a colpi di mouse o di dito indice sullo schermo del cellulare, non cero con idee o principi da sostenere. Importante è esserci, fare un selfie con la persona giusta, postare, condividere e chiedere sostegno ai follower. Se fosavesse avuto a disposizione internet, forse anche Garibaldi avrebbe racimolato qualche volontario in più per la sua spedizione dei mille. O forse anche no: chi partì verso la Sicilia rischiava la vita per un ideale, oggi la conseguenza peggiore è quella di non ricevere like o essere bannato da qualche pagina Facebook.

Quasi tutti i politici hanno il loro consulente di immagine, che è cosa ben diversa dalla figura del portavoce che caratterizzava i politici della Prima Repubblica e che si occupava anche dell’immagine di colui che rappresentava. Oggi l’immagine è tutto, ed un politico deve costruirla, mantenerla e, più che altro, reggere gli attacchi che può subire. E sono attacchi talvolta infidi, in quanto ben possono essere, anche qui, portati sulla stessa rete che viene usata per darsi visibilità e credibilità. E questa rete è aperta a tutti, dagli haters di professione fino a qualche raffinato genio. Lo sa bene Giorgia Meloni, che ha visto il suo discorso al raduno del centrodestra diventare un tormentone che ha spopolato su internet. In ogni caso ha visto girare il suo nome e guadagnato visibilità, anche se non certo nel modo in cui avrebbe voluto. Lontani, forse dimenticati, i tempi in cui il confronto e il dibattito tra i leader dei partiti erano demandati alle tribune politiche dove si parlava in un vero dibattito, e il confronto era aperto, senza domande preconfezionate e una claque plaudente, ammaestrata dall’imbonitore di turno.

Ma era anche una politica fatta di uomini che avevano una base culturale, che riuscivano ad esprimere le loro opinioni, giuste o sbagliate che fossero, senza dover ricorrere a slogan di poche battute che, però, oggi vengono meglio capite dalle masse. Masse che, ricordiamo, sono ben use ad usare proprio lo strumento digitale che i ben più scafati pseudopolitici dei giorni nostri utilizzano. Ovvia quindi la necessità di fornire messaggi chiari, diretti, facilmente assimilabili. Un esempio? Meglio dire NO TAV, sic et simpliciter che non spiegare in un dibattito con esperti e usando la terminologia corretta i pro e i contro di una scelta di economia che non riguarda solo un paese ma l’intera Europa.

Limitiamoci a prendere atto che il cambiamento dei tempi, degli strumenti di comunicazione e il livello medio dell’ascoltatore sono cambiati rispetto a solo qualche anno fa. Prima avevamo Andreotti e Moro, laureati in giurisprudenza, e un economista come Fanfani; dagli altri lati Berlinguer e Almirante non erano laureati, ma provenivano da studi classici e esperienze nel giornalismo. In ogni caso le scuole di partito dell’epoca erano laboratori di livello e il dibattito imponeva ai protagonisti di adeguarsi a livelli elevati. Oggi vince chi strilla di più in un programma nazionalpopolare o ha più fan su internet. Verrebbe da riflettere sulle parole di un protagonista politico ormai quasi dimenticato, il primo vero federalista che abbiamo avuto, Carlo Cattaneo che, quando gli venne offerto un ruolo di comando durante le Cinque giornate di Milano, declinò l’invito rispondendo che “Quando la ragazzaglia scende in piazza, le persone serie stanno a casa”.

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Un Commento

  • Condivido pienamente l’analisi: la politica e’ un arte che può essere coltivata solo dagli “aristocratici” di qualunque pensiero, dalla destra alla sinistra. Solo loro possono e sanno interloquire tra di loro senza urlare ed accapigliarsi.

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