Censis, Rapporto annuale 2019
Nella sede del CNEL a Roma qualche giorno fa è stato presentato il 53° Rapporto Censis che, come si legge su fonte Censis: “interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del nostro Paese nella fase di eccezionale trasformazione che stiamo vivendo da un decennio”.
Il Rapporto si struttura con un parte introduttiva composta da considerazioni generali “descrittiva delle piastre di sostegno, dei soggetti e dei processi per arginare la deriva verso il basso dell’Italia”. Una seconda parte: “La Società italiana al 2019” in cui vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno: “…in una società macerata dalla sfiducia, la solitaria difesa di se stessi degli italiani…, esito del furore di vivere e di stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro…, responsabilità collettive eluse, ma anche i grumi di un nuovo sviluppo” si legge nella Nota Censis”. Nell’ultima parte si sviluppano analisi sui settori della formazione, del lavoro, della rappresentanza, welfare e sanità, sul territorio e le reti, sui soggetti e processi economici, sui media, la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.
Quella che viene tratteggiata nell’ultimo Rapporto Censis è una società in cui domina un sentimento di incertezza: questo è lo stato d’animo del 69% degli intervistati e si impegnano per “porre una diga a questo smottamento verso il basso con una resilienza opportunistica, attivando processi di difesa spontanei” che vanno da una maggiore attenzione ai consumi, al denaro accumulato: +33,6% di contanti e depositi bancari accumulati tra il 2008 e il 2018 per il protrarsi della corsa alla liquidità a cui stiamo assistendo da qualche anno, a fronte del -0,4% delle attività finanziarie poste in essere dalla famiglie.
Ancora dall’analisi del Rapporto emerge una popolazione italiana composta sempre più da cittadini in cui i livelli di aggressività e diffidenza vanno aumentando nel tempo: disillusione, stress esistenziale e ansia sono le cause della diffidenza verso gli altri – 75% del campione intervistato – che sfociano in episodi di prepotenza in luoghi pubblici, come denuncia il 49% del campione. Si registra un incremento anche delle pulsioni antidemocratiche: per il 48% degli italiani sarebbe necessario un “uomo forte al potere, che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni; un dato che aumenta se si intervistano persone con redditi bassi (56%) e i soggetti meno istruiti (62%). Subisce un crollo la fiducia nei partiti – 76% degli intervistati – mentre sale all’81% tra gli operai e all’89% tra i disoccupati. In definitiva si constata uno “smottamento del consenso che coinvolge soprattutto la parte bassa della scala sociale: il 58% degli operai e il 55% dei disoccupati si dichiarano scontenti di come funziona la democrazia in Italia.
È vero che nel 2018, rispetto al 2007, si contano 321.000 occupati in più: +1,4%, tendenza confermata anche nei primi sei mesi del 2019 con un + 0,5%, ma è un’occupazione che non produce reddito e crescita, così come i partiti si dimostrano sempre più scollegati alle richieste e istanze che gli provengono dai cittadini e dal Paese.
In tutto questo scenario, contrariamente magari alle aspettative dei più, per il Censis, gli italiani intervistati si dichiarano, in maggioranza, contrari a fare un passo indietro su tre questioni: il 61% dice di no al ritorno della lira, il 62% è convinto che non si debba uscire dall’Unione Europea e il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alle frontiere interne della UE, considerandolo un deterrente per il Mercato interno e la libera circolazione di merci e persone.
Per quanto riguarda robotica e intelligenza artificiale, invece, l’Italia si posiziona bene, ma certamente arretrata rispetto a Paesi come Germania o Giappone o a Paesi a tecnologie avanzate come Singapore e Corea del Sud, al contrario di quanto non avvenga per il numero di laureati e il livello di competenze conseguite al termine del percorso scolastico: il 52,1% dei 60-64enni si è fermato alla licenzia media (a fronte del 31,6% medio dell’Unione), tra i 25-39enni il 26% non ha conseguito un titolo di studio superiore, il 14,5% dei 18-24enni non possiede né diploma né qualifica e non frequenta corsi formativi.
Mentre, a contribuire a ridurre il digital divide per un’ampia fetta della Società, un forte contributo è giunto dagli amati-odiati smartphone, diventati quasi un oggetto di culto, “l’icona della disintermediazione digitale”, che ha giocato un ruolo da protagonista nella rivoluzione compiuta dal sistema dei Media negli ultimi dieci anni.
©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione