Il caso Gasparri
La cronaca ci ha abituato in questi ultimi anni allo spettacolo di soldi pubblici appropriati per fini privati dai responsabili di gruppi politici a livello nazionale, regionale, provinciale, comunale. Si è trattato di personaggi emblematici nella loro criminale disinvoltura, apparentemente seri e compassati come il senatore Lusi, della Margherita, o schiettamente folclorici come “Er Batman” o “Il Trota”. Individui, però, abbastanza marginali, non rappresentativi della parte più responsabile della classe politica. Spiace ora vedere associato allo stesso andazzo un personaggio di un certo profilo e fin qui con buona immagine sul piano privato come il senatore Gasparri, indagato per avere usato fondi di origine pubblica del gruppo parlamentare del PDL per la propria assicurazione sulla vita.
Gasparri non è certo il mio modello di intelligenza politica (nemmeno di intelligenza “tout court”), ma lo considero fino a prova contraria una persona integra, come quasi tutti quelli cresciuti alla scuola di Giorgio Almirante, dinosauri in materia politica ma animati da un ideale e non da calcoli di profitto personale. Noto perciò con sollievo che si sarebbe trattato di un semplice prestito, un’operazione consigliata dalla stessa banca, e che i 600.000 euro prelevati dalle casse del gruppo sono stati restituiti. Spetterà alla Giustizia fare piena luce sull’accaduto, ma io mi auguro che il caso sia chiuso rapidamente e senza inutili cacce alle streghe. La Procura di Roma aveva del resto già archiviato un’indagine su Gasparri e sul suo allora vice, Quagliariello, per la gestione generale dei fondi del gruppo del PDL al Senato, constatando, sì, varie incertezze e confusioni, ma nessun fatto penalmente rilevante. Spero che anche da questo episodio Gasparri possa uscire legalmente indenne.
Ma il problema etico resta. Al centro di ogni buona amministrazione del denaro pubblico c’è il principio che esso è intoccabile, quasi sacro. Servirsene a conto proprio, anche solo temporaneamente, è illecito. Questo lo sa chiunque abbia gestito o gestisca soldi pubblici. A me, come titolare di uffici diplomatici o consolari e di una direzione generale della Farnesina, è toccato di avere in gestione fondi relativamente importanti. Mai mi sarebbe venuto in mente di servirmene, anche come semplice anticipo da restituire, per le mie spese personali. Ma se anche avessi voluto farlo, avrei dovuto avere l’acquiescenza dei responsabili della contabilità, dei servizi ispettivi del Ministero e, per ultimo, delle sezioni di controllo della Corte dei Conti. Aggiungo, anche se parrebbe ovvio, che si trattava sempre di fondi disposti per l’esercizio di attività d’istituto indicati con precisione: affitti di sedi, spese per i servizi, retribuzioni per lavoro prestato, tutte spese minuziosamente rendicontate e senza nessun margine per l’arbitrario o l’improvvisazione. Una norma più che saggia nella nostra diplomazia prevede che persino le spese di rappresentanza, per loro natura aleatorie, ma che pure sono parte indispensabile del servizio, siano a carico, non dello Stato, ma del titolare, il quale però deve darne dettagliata indicazione ai servizi ispettivi.
Quando si tratta di spese dei gruppi politici queste sagge norme sono disattese. Non pare esserci un limite chiaro e facilmente identificabile tra spese d’istituto e spese arbitrarie. Probabilmente non è una carenza casuale: l’indeterminatezza consente infatti una larghezza d’interpretazione in cui s’infilano gli abusi più aberranti. Per di più, non paiono esistere quei controlli, interni ed esterni, che nel caso della PA in generale costituiscono una remora tutto sommato efficace (che non basta e in alcuni casi neppure serve per eliminare la corruzione, ma questo è un altro affare: la corruzione è un cancro diverso da quello delle mille, piccole o grosse malversazioni).
Una classe politica che si rispetti e che voglia riconquistare la fiducia della gente dovrebbe porre rapidamente e seriamente mano a questo problema, se non altro per non lasciarlo nelle mani dei barbari grillini. È necessario ridurre al minimo i soldi attribuiti ai gruppi politici, limitarne l’uso a casi ben individuati e introdurre anche per essi gli stessi rigidi controlli che valgono per ogni altra branca dello Stato.
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Un Commento
Caro Ambasciatore, basterebbe copiare le norme che regolano alcune spese di noi europarlamentari ed i relativi controlli, per evitare questo scempio nazionale che certo non giova alla nostra immagine nel mondo!