Coming out, perché nello sport è un tabù?
Da sempre l’omosessualità degli atleti e degli sportivi in generale è stata nascosta perché evidentemente ritenuta un handicap per la loro reputazione professionale. Oggi, venti anni dopo il Duemila, è assurdo che gli sportivi debbano soffrire di discriminazione per i loro orientamenti sessuali a differenza magari di altri personaggi, per così dire “famosi”. Ad esempio, gli attori a livello sociale possono evidentemente esprimere la loro sessualità in modo più libero. Molti di questi infatti sono attivisti e mostrano senza problemi la loro omosessualità, senza avere paura che questo possa condizionare la loro carriera professionale.
Da sempre la “diversità” è stata giudicata e condannata nella nostra società, anche se, effettivamente, con il passare degli anni alcuni fenomeni di discriminazione sessuale sono stati condannati grazie a parecchie leggi a favore dell’uguaglianza.
Come in tutti i processi di evoluzione sociale con gli anni si è generata anche una nuova “consapevolezza” che ha in parte favorito una nuova “apertura mentale” nell’opinione pubblica; apertura che, evidentemente, non può però essere considerata compiuta, soprattutto per sport o discipline erroneamente considerate prettamente “eterosessuali” pur senza apparenti motivazioni valide.
E nel 2020 stupisce che la categoria degli sportivi VIP non abbia queste libertà. Ad esempio, si possono contare sulle dita di una mano, i giocatori NBA (la principale lega professionistica di pallacanestro degli Stati Uniti d’America e del Canada, famosa in tutto il mondo), che hanno dichiarato pubblicamente ai mass media la loro omosessualità. Lo stesso avviene nel calcio. Entrambi sono ritenuti sport, per così dire, “eterosessuali”, ma se non altro, con una buona percentuale di giocatrici donne. Probabilmente per questo fattore (se vogliamo azzardare “un po’ sessista”), questi sport sono sempre stati considerati come simbolo dell’uomo virile e quindi marcatamente eterosessuale.
Ma è davvero possibile che tra tanti giocatori solo pochi abbiano fatto “coming out”? Tra le celebrità dello sport che hanno reso pubblica la loro sessualità, l’ex cestista statunitense Jason Collins è stato il primissimo atleta uomo americano a dichiarare, durante la sua carriera, la propria omosessualità. Il suo significativo gesto ha ricevuto in risposta un grande applauso da personaggi come Obama, Clinton e da alcuni vertici del Brand Nike (sponsor ufficiale dell’NBA), per ammirazione verso l’atto di coraggio avuto in un ambiente così ostile a questo tema. Ma anche le critiche sono state numerose; del resto il chiacchiericcio generato dai mass media è qualcosa di ovvio e scontato, un gossip di questo genere fa gola. Mentre in Italia, Rachele Bruni, è stata la prima italiana a fare coming out alle Olimpiadi del 2016, dedicando il suo argento di nuoto alla fidanzata Diletta.
E’ senza dubbio fondamentale riflettere su come ancora sia un “tabù” e ritenuto “disdicevole” ammettere pubblicamente la propria sessualità soprattutto nel mondo dello sport ed ancora di più per quegli sport ritenuti maggiormente “etero” di altri.
E’ vero, i tempi stanno cambiando, ma come sappiamo la società e le convinzioni degli individui tardano nel giungere a conclusioni sensate e meno sessiste. Il cambiamento deve partire da noi e sono queste le notizie che devono far pensare più di altre, poiché il fatto di dichiarare apertamente la propria “sessualità” non è affatto un semplice gossip ma un vero e proprio atto di coraggio e di sfida verso quei modelli arcaici a cui la società odierna è ancora ancorata.
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