Facebook e CasaPound, tra contratti e politica
Il Tribunale di Roma, con una ordinanza appellata da Facebook, ha imposto al social network di rimettere on line la pagina a suo tempo oscurata del movimento CasaPound. Prescindendo dalle posizioni, il Tribunale di Roma ha toccato alcuni importanti punti non solo di diritto sui quali sono opportune alcune considerazioni.
Nella parte iniziale del suo provvedimento, richiesto in via d’urgenza e non con lo strumento del giudizio ordinario, il Tribunale non può prescindere dal alcune considerazioni su come il servizio offerto da Facebook, e di cui usufruiscono oltre 2.8 miliardi di utenti sulla rete, preveda nei suoi standard della Community la libertà di espressione del pensiero, oltre ad altre prescrizioni, al punto di configurare un vero e proprio regolamento contrattuale che l’utente, al momento dell’iscrizione, si impegna a rispettare. Conferma e è data dal fatto che il social può irrogare sanzioni che vanno dalla rimozione di contenuti fino all’oscuramento della pagina e alla disattivazione di un profilo. Non solo, il Giudicante ha anche posto in evidenza come l’attuale ruolo dei social sia diventato di primario rilievo anche nell’ottica di un pluralismo di partiti politici, al punto che un soggetto non presente sui social è escluso dal dibattito politico. Un riconoscimento non da poco per il sito di Zuckerberg cui viene inoltre dato atto che la quasi totalità dei politici italiani affida proprio ad una pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del loro rispettivo partito o movimento.
Da ciò ne deriva una soggezione da parte di Facebook, nell’esecuzione della sua attività contrattuale, agli obblighi derivanti addirittura dalla Costituzione e dell’ordinamento giuridico fino a quando non venga dimostrata la effettiva violazione da parte dell’utente degli standard di comportamento cui si deve attenere. Di conseguenza, in attesa di un eventuale giudizio di merito, il comportamento di Facebook è stato ritenuto in contrasto con il diritto al pluralismo per avere impedito ad una associazione attiva nel panorama politico, di poter esporre il proprio pensiero e divulgare messaggi.
La difesa del social, che aveva rimosso i contenuti, si è basato su episodi di violenza e di incitazione all’odio contro minoranze, documentati dalla stampa, ma andando avanti nel proprio ragionamento il Tribunale ha eccepito che i comportamenti di alcuni associati non possono ricadere automaticamente sull’associazione stessa. Prescindendo in ogni caso dal merito della vicenda, il Tribunale si lancia in una conclusione che deve far riflettere, vale a dire un ulteriore e forse definitivo riconoscimento dei social nella nostra società. Merita in tal senso riportare l’intero periodo, in quanto è stato riconosciuto che il preminente e rilevante ruolo assunto da F. nell’ambito dei social network, anche per quanto riguarda l’attuazione del pluralismo politico rende l’esclusione dalla comunità senz’altro produttiva di un pregiudizio non suscettibile di riparazione per equivalente (o non integralmente riparabile) specie in termini di danno all’immagine.
Al di là di ogni considerazione sui contenuti rimossi nel singolo caso, o altri che troveranno ingresso in Rete, il Tribunale di Roma ha dato atto del ruolo di assoluto rilievo del sistema dei social nella nostra società in uno dei settori fondamentali quale è la vita politica di un partito. La vicenda avrà certamente un seguito e, verosimilmente, questa volta il Tribunale dovrà entrare nel merito e valutare se i singoli contenuti postati fossero in contrasto con le policy di Facebook. In ogni caso, come se già non ne fossimo consapevoli nei fatti, è stato un Tribunale a riconoscere come i social siano indispensabili nella nostra società come strumenti di diffusione ed espressione di un libero pensiero.
E per ogni partito o movimento è stabilito non solo il diritto, ma anche l’assoluta necessità, di poter accedere ai social per poter partecipare alla vita politica di una nazione.
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