Gender Pay Gap in Europa
Le donne lavoratrici nell’UE guadagnano in media 16% in meno all’ora rispetto agli uomini. L’articolo 157 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex articolo 141 del TCE) al capoverso 1 prevede che “Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.”.
Proprio alla luce dei risultati inadeguati raggiunti, il Parlamento Europeo ha deciso di intervenire in maniera forte e pragmatica, adottando nella plenaria dello scorso 30 gennaio una risoluzione in cui chiede alla Commissione europea di introdurre misure vincolanti sul divario retributivo di genere e sulla trasparenza retributiva, sia nel settore pubblico che in quello privato. Si passerebbe quindi da un approccio propositivo ad uno coercitivo con l’introduzione di precisi obblighi di legge; la risoluzione adottata chiede “Obiettivi chiari per gli stati membri per ridurre il divario retributivo di genere nei prossimi cinque anni (attraverso un Piano aggiornato sul divario retributivo); investimenti nell’istruzione primaria e servizi di assistenza; investimenti in accordi di lavoro che tengano conto dei bisogni familiari per garantire una partecipazione equa delle donne al mercato del lavoro; disposizioni adeguate per le donne più anziane, come crediti per periodi di cura, pensioni minime adeguate e benefici ai superstiti; promozione della formazione professionale e dell’apprendimento permanente per le donne, ma soprattutto dell’imprenditorialità, dello studio delle materie STEM e dell’educazione digitale per le ragazze fin dalla più tenera età.”. La Commissione europea dovrebbe proporre la nuova strategia dell’UE per l’uguaglianza di genere a marzo aderendo alle richieste del Parlamento.
I metodi di calcolo per valutare il gender pay gap sono vari a seconda degli scenari e degli attori, a livello europeo il divario retributivo di genere è definito ufficialmente come “differenziale retributivo di genere non rettificato”, in quanto non tiene conto di tutti i fattori che influenzano il differenziale retributivo di genere, come le differenze in termini di istruzione, esperienza sul mercato del lavoro, ore lavorate, tipo di lavoro. Quello che appare evidente è che la differenza salariale, intesa come divario o differenziale retributivo di genere calcolata quale differenza tra i compensi orari lordi di uomini e donne, esiste e non è discutibile. Nell’Unione europea il divario retributivo varia ampiamente: la percentuale più alta si riscontra in Estonia (25,6%). A seguire: Repubblica Ceca (21,1%), Germania (21%), Regno Unito (20,8%), Austria (19,9%) e Slovacchia (19,8%) – dati del 2017. Le percentuali più basse si ritrovano in Slovenia (8%), Polonia (7,2%), Belgio (6%), Italia e Lussemburgo (entrambi 5%) e Romania (3,5%).
Per fare comprendere come i calcoli statistici presentati siano complessi, senza scadere nei facili sensazionalismi e fuorvianti interpretazioni, bisogna capire che divari retributivi bassi non sono necessariamente indice di maggiore uguaglianza. Entrano in gioco fattori come la percentuale di donne che partecipano attivamente al mercato del lavoro oltre che il monte ore lavorato da quelle impegnate nel lavoro. In media, le donne svolgono più ore di lavoro non retribuito (cura di figli o familiari, lavori domestici) e gli uomini più ore di lavoro retribuito: solo l’8,7% degli uomini nell’UE lavora part-time, contro quasi un terzo delle donne nell’UE (31,3%). In totale, le donne hanno più ore di lavoro alla settimana rispetto agli uomini; ma un 30% del divario va attribuito alla prevalenza femminile nei lavori a basso livello salariale come assistenza, vendite e istruzione; parimenti appena il 6,9% degli Amministratori Delegati è coperto da donne.
Il divario si allarga proporzionalmente al crescere dell’età aumentando il rischio di povertà ed esclusione sociale per le donne, ma non si tratta solo di giustizia sociale. Secondo le s time della ‘Unità di valutazione del valore aggiunto europeo’, l’aumento della possibilità di spesa da parte delle donne unito al minore impatto sul versante delle spese previdenziali comporterebbe importanti benefici ai bilanci degli stati membri. Ogni riduzione dell’1% nel divario retributivo di genere comporterebbe un aumento del PIL dello 0,1%.
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