Open Innovation in cattedra alla Luiss

“La maggior parte delle idee innovative fallisce e le aziende che non innovano muoiono” in questa frase di Henry Chesbrough è racchiuso il senso dell’istituzione della Cattedra in Open Innovation della Luiss. Frutto della Sinergia tra il Gruppo Maire Tecnimont e la Luiss (nelle persone e nella progettualità di Fabrizio Di Amato, Presidente e azionista di maggioranza della Maire Tecnimont Group e di Andrea Prencipe, Rettore Luiss), nasce la Cattedra in “Open Innovation” presso la Luiss Guido Carli, assegnata al Prof. Henry Chesbrough, Direttore del Garwood Centre for Corporate Innovation dell’Università della California a Berkeley.

Henry Chesbrough, ricordiamo, è il padre nobile del concetto stesso, del termine: Open Innovation. Che fu da lui coniato nel 2003, in concomitanza della creazione dello European Innovation Forum, nato per affrontare, risolvere, le difficoltà e le crisi che investivano le realtà imprenditoriali e aziendali quando si trovavano alle prese con l’innovazione e le trasformazioni richieste dal mutare delle realtà socio-economiche e produttive in cui erano calate, dalle nuove esigenze del Mercato e dei consumatori.

E pensiamo, anche, al mutare degli scenari del mondo imprenditoriale-produttivo, del tessuto industriale a livello locale e internazionale voluto e determinato dall’utilizzo, dalla necessità indifferibile per reggere una competitività sempre più intensa, del digitale, dell’innovazione, alla nascita di start up come leva per la promozione e l’incremento della produttività e dello sviluppo.

Ed è proprio questo aspetto ad essere il focus che si e scelto di approfondire e sviluppare: il fenomeno dell’Open Innovation come “modello di innovazione secondo cui le imprese non solo ricorrono all’utilizzo delle risorse interne, ma anche, a strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno”.

Si tratta di un fenomeno che attualmente ha l’attenzione della comunità scientifica e professionale, del management, del quale da molti anni oramai di dibatte, ma che necessita di approfondimenti maggiori e che sia sviluppato con maggior cura, convogliando gli sforzi di tutti i soggetti coinvolti, oseremmo dire, a livello sovranazionale: Europa, Stati Uniti, di tutti quanti operano nel mondo scientifico ad alto profilo.

Nella visione di Chesbrough l’Open Innovation “ può essere interpretato nella chiave di lettura di un modello antitetico a quello dell’integrazione verticale, nel quale le attività di ricerca e sviluppo interne a un’azienda conducevano a prodotti sviluppati anch’essi all’interno e che poi venivano distribuiti e commercializzati dalla stessa Società produttrice …- e continua -…nell’Open Innovation, l’innovazione aziendale fa tesoro, in maniera sistematica, di collaborazione, idee, risorse esterne rispetto al perimetro societario classicamente inteso”.

Partendo dalle Start-up sia arriva “al mercato globale delle idee e dei brevetti”, si realizza un modello produttivo che non ha più bisogno di controllare i processi di innovazione in tutte le loro fasi.

Sempre per il suo “Padre nobile” un simile approccio non può valere in tutti i settori indifferentemente: è possibile che ci siano ambiti in cui il controllo totale dei processi di innovazione e necessario alla sicurezza o /e alla qualità dei prodotti realizzati; inoltre, l’Innovazione Aperta necessita di un cambiamento totale di mentalità, si va dal “controllo” del processo di innovazione “all’influenza” su quest’ultimo e si tratta di un qualcosa di meno semplice e scontato di quanto non possa apparire ad un primo colpo d’occhio.

Si tratta, come vediamo e in definitiva, di un approccio “rivoluzionario” alla ricerca che, con il “supporto della tecnologia crea nuove figure professionali”. Di un approccio che cerca di contemperare, stabilire un “giusto punto di equilibrio” tra l’esigenza di tutelare il patrimonio industriale che ha garantito la produzione nei sistemi economici dei Paesi industrializzati e l’esigenza di sviluppo e di reggere la competitività sempre più stringente, la “velocizzazione” del ciclo di produzione industriale nelle sue differenti fasi, l’utilizzo corretto per il vantaggio della Società, nelle sue differenti componenti, del moltiplicarsi dei Centri di Ricerca e Innovazione. Un approccio non difensivo, ma inclusivo, collaborativo anziché difensivo. Ad essere coinvolta non è solo la “Produzione” per antonomasia, ma, come dicevamo, modelli economici e di management, di marketing con il risultato finale di imprimere una decisa accelerazione all’innovazione tecnologica, allo sviluppo, alla crescita economica.

Tutto questo affinché la reciproca interazione tra Università, Corporate venture capital, Centri di Ricerca privati generi una realtà industrial-produttiva più rispondente alle mutate esigenze socio-economiche dei tessuti produttivi in trasformazione, che sia ecosostenibile, attenta e rispettosa del patrimonio umano a propria disposizione e alla sua valorizzazione.

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