Il telefono, la nostra vita?

Che cosa era negli anni Settanta una prova d’amore e di coraggio? Probabilmente quella di riuscire ad ottenere il numero di telefono di una ragazza che ci piaceva (e già era un’impresa non sempre facile), trovare una cabina libera dopo essersi muniti di un gettone, fare il numero e correre il rischio di sentirsi rispondere da una voce da cavernicolo che apparteneva al padre di lei. Un’impresa degna di Indiana Jones. Chissà se le ragazze apprezzavano questi gesti degni di un cavaliere antico che sfidava un pericoloso drago.

Oggi il primo gesto di molti giovani, e anche meno giovani, è quello di svegliarsi e accendere il proprio smartphone per inviare un messaggio Whatsapp, magari corredato di fotografie e cuoricini, alla propria ragazza o ragazzo. Un gesto talmente facile che il destinatario, immaginiamo una ragazza, potrebbe anche chiedersi se sia lei l’unica destinataria o quel messaggio sia stato inviato a tutte le amiche contenute nella rubrica di lui.

Sono passati cinquant’anni, che possono sembrare un’eternità, ma ricordiamo che per passare dalle carrozze trainate da un cavallo alle auto a motore, sono stati impiegati secoli. Abbiamo assistito alla nascita e alla morte della macchina per scrivere che ha attraversato tutto il secolo scorso e a quella dei floppy disk che sono durati poco più di un decennio. Esiste un oggetto che ha avuto uno sviluppo così veloce come il cellulare e il computer che ne è la base? Quando Bill Gates disse che voleva, in futuro, un computer in ogni casa, aveva decisamente tenuto basse le sue ambizioni.

Viene ogni tanto da chiedersi anche come questa tecnologia abbia cambiato le nostre abitudini, i nostri rapporti con gli altri, con il mondo del lavoro. In quanti, nel momento della scelta di un telefono cellulare, si soffermano a riflettere che la primaria funzione di questo infernale aggeggio di cui non riusciamo più a fare a meno, sarebbe quella semplicemente di telefonare? E in quanti lo usano, e in che percentuale di utilizzo, per questo ormai antico motivo? Oggi è più facile inviare un messaggio Whatsapp, magari un vocale che, in frazioni di secondo, può arrivare dall’altra parte del mondo. A proposito: ricordate quando iniziammo ad usare gli SMS? Quelle arcaiche forme di messaggio che, orrore, non potevano inviare immagini. Era il 2000 quando venne immesso sul mercato il primo servizio on demand di SMS. E ogni messaggio aveva un costo che l’operatore cercava di contenere.

Gli ultimi modelli vengono pubblicizzati non certo per la loro capacità di ricezione, ma per la doppia fotocamera e la qualità dei video che può realizzare, una memoria che può contenere intere enciclopedie e videoteche, la velocità di connessione che ci permette di scaricare e vedere in quei pochi pollici l’intera storia del cinema e ascoltare, guardano i video, tutta la musica mai prodotta. A proposito, a qualcuno torna in mente che il vostro cellulare è anche una torcia elettrica e una calcolatrice? O usate ancora quelle ingombranti e pesanti da tavolo?

Vogliamo fare un’operazione sul nostro conto corrente o acquistare un divano prodotto in Vietnam e pagarlo con carta di credito? Basta scaricare una App. Bellissimo sistema, facile e ormai usato anche delle pubbliche amministrazioni. Finalmente possiamo tenere in tasca tutti i nostri documenti e le cartelle cliniche, senza bisogno di dover conservare montagne di carte in casa. Fa sorridere il ricordo di quando usciva un nuovo modello di cellulare e si “osava” pensare che la tecnologia avesse raggiunto il suo apice. Ingenui. Il terminale su cui stai leggendo, probabilmente è già obsoleto e, in ogni caso, tra due anni sarà roba da mesozoico.

Sembrano ormai immagini preistoriche quelle dei vecchi centralini in cui le segretarie, con cuffie e microfoni, spostavano cavetti per mettere in contatto gli utenti. E’ un altro dei lavori che non esistono più, sostituito da quello del programmatore, del social media manager e dell’influencer. Niente retorica. Non possiamo fare a meno del nostro cellulare e, probabilmente, molti di noi ridono di se stessi quando, all’inizio degli anni novanta, guardava quasi con tenerezza i pochi possessori di un radiotelefono (si diceva così mi pare), che era costretto a girare con una tracolla che conteneva un carica batterie pesante molto di più degli elenchi del telefono che, anche questi, sono stati messi in cantina da internet. Erano cose da ricchi o addirittura ricchissimi e, si credeva, fossero oggetti di lusso destinati solo a VIP o manager che non potevano permettersi di essere disconnessi.

Oggi invece si può discutere, al massimo, sull’età a cui è opportuno che un bambino abbia il proprio cellulare per essere, anche lui, connesso con il mondo. Oggi il termine, disconnesso, mette paura a tutti. Vuol dire essere estromessi da una realtà che non è più solo virtuale, ma sempre più reale: quella con cui dobbiamo interfacciarci ogni giorno. E lo strumento per farlo è il nostro cellulare.

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