Job act, questo sconosciuto
La discussione sulla riforma del lavoro è partita da qualche giorno con le affermazioni di Matteo Renzi: «La rivoluzione sul lavoro è possibile se tutti abbandoniamo le certezze, altrimenti se ripartiamo dal solito percorso perdiamo la strada per tornare a casa». Il job act renziano potrebbe essere basato su un nuovo e unico contratto di ingresso a tempo indeterminato, con tutele progressive per i nuovi assunti. Ma al momento non ci sono certezze sui contenuti del piano sul lavoro che la nuova segreteria democratica presenterà entro la fine di gennaio.
A leggere le diverse dichiarazioni, il nuovo progetto dovrebbe basarsi su flessibilità sia in entrata che in uscita, partendo dalla necessità di stabilizzare i contratti a tempo determinato. L’idea è quella di conseguire una semplificazione efficace visto l’eccesso di normativa e conseguire l’obiettivo di creare nuovo lavoro. Elemento fondante della proposta è la considerazione del conflitto generazionale fra chi è garantito e chi non lo è, tra lavoratori maturi e lavoratori precari, che il più delle volte sono giovani. L’idea è dare battaglia alla precarietà non alla flessibilità: saranno gli abusi di quest’ultima a dover essere eliminati.
L’impianto generale si fonda sulla flessibilità dei contratti iniziali, con un contratto unico di ingresso a tempo indeterminato con il quale si eliminano gli eccessi del precariato e si facilita la stabilizzazione del lavoro. Le aziende sarebbero facilitate ad assumere, e avrebbero riconosciuta la possibilità, per i primi tre anni, di recedere dal contratto pagando solo un indennizzo economico, senza dover sopportare eventuali rischi di reintegra, la quale rimarrebbe solo in caso di discriminazione. Per lo stesso periodo i contributi sarebbero a carico dello Stato e non a carico dell’azienda. Un sussidio di disoccupazione uguale per tutti sostituirà l’attuale cassa integrazione per garantire una maggiore flessibilità in uscita. La proposta contiene anche un focus sulla riqualificazione attraverso una formazione professionale per dare ai lavoratori gli strumenti idonei al reingresso nel mercato. L’incontro fra domanda e offerta di lavoro sarebbe resa più armonica grazie alla ristrutturazione dei centri per l’impiego: allo studio anche una proposta per integrare le agenzie pubbliche con quelle private.
Con un tasso di disoccupazione giovanile che si attesta al 41,2 per cento, e con all’orizzonte potenziali ristrutturazioni aziendali in tutti i settori, vale la pena approfondire di più la materia del lavoro prima di fare proposte: del resto una proposta del lavoro slegata dal più generale quadro di politica industriale da riformare attira molte critiche. All’interno del PD c’è chi, come i giovani turchi, considera la maggiore flessibilità la causa dell’aumento della disoccupazione, e non una possibile soluzione. Il ministro Giovannini invece ricorda che già in passato fu bocciata la proposta di sospendere l’articolo 18 per i neo assunti e che le regole di flessibilità introdotte fino ad ora non hanno prodotto i risultati sperati. Una certa soddisfazione invece da parte della Fiom, dove Landini auspica anche una legislazione sulla rappresentatività dei soggetti sociali, cosa che non piace alla Cisl. D’accordo sull’impianto generale di flessibilità e articolo 18 la Confindustria – che da anni chiede semplificazioni per le norme sul lavoro – e plaude anche il centro destra.
Lavoro iperprotetto o eccesso di flessibilità, non può essere solo un semplice ragionare tutti insieme. La riforma della materia del lavoro è importante, ma ancora più importante è fare quelle riforme – in primis di politica industriale – che davvero possano creare lavoro.
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