Camera di Consiglio
LA MAFIA A ROMA MA NON È “MAFIA CAPITALE” – La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che, sotto il piano giuridico, costituisce un importante precedente nel procedimento nei confronti del Clan Fasciani di Ostia: “a Roma la mafia c’è”. In attesa di sapere perché la stessa Corte non ha riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso nella vicenda nota come “Mafia Capitale” tale bollata con eccessiva fretta dai giornalisti, la sentenza contro il clan Fasciani assume un peso rilevante. Gli imputati, infatti, sono stati condannati per associazione a delinquere, aggravata dal metodo mafioso dell’art. 416 bis del codice penale.
Nel caso dei Fasciani, a differenza di altri, è stata riconosciuta l’esistenza dello stesso metodo, usato dalle mafie tradizionali in quanto il sodalizio criminale si è dimostrato capace, crescendo negli anni, di disporre di una grande forza di intimidazione e di avvalersene per i suoi scopi. Infatti, in tutto il territorio in cui il Clan operava, è stata rilevata una violazione grave dei diritti di libertà fondamentali, che hanno comportato una violazione dell’ordine pubblico ed economico. Il Clan aveva un vero e proprio dominio su Ostia e si stava allargando. Il gruppo, alla fine degli anni ’90 è cresciuto e si è organizzato e la Corte ha rilevato come non potesse essere più ritenuto una “associazione semplice”, ma è diventato un Clan mafioso, che utilizzava appositi metodi ed organizzazione.
Il ruolo centrale, un vero e proprio Padrino, era del boss, Carmine Fasciani che, spesso e volentieri, veniva addirittura chiamato a fare da “pacere” tra le varie piccole associazioni criminali operanti nella zona, nonché per definire questioni di carattere privato: basti pensare che per vedere tutelati i propri parenti venivano avanzate richieste proprio al “boss”.
Il ruolo di Fasciani ben può essere paragonato a quello “istituzionale” proprio dei soggetti pubblici, e tale investitura era avvenuta in virtù del suo “prestigio criminale”. Ma nulla avrebbe potuto fare da solo, anzi: mentre era sotto controllo o ricoverato in ospedale, il Clan ha continuato ad operare. Sono le parole usate dai Giudici, a dimostrazione della struttura capillare e radicata che aveva assunto il Clan.
Tutti i membri agivano sistematicamente per ottenere e mantenere l’egemonia sul usando metodi non poco violenti: basti pensare alle sparatorie, agli incendi ed agli attentati contro coloro che avrebbero dovuto vendere le attività per creare il “Village” nel lido ostiense, ed a tutti coloro che si sono accaparrati aree demaniali e stabilimenti balneari anche attraverso la corruzione di pubblici ufficiali.
Ma vi è di più: la Corte ha posto in evidenza l’omertà e l’assoggettamento che discendono dalla forza intimidatrice propria di una organizzazione mafiosa, ravvisandolo nel comportamento delle vittime: chiamati a testimoniare arrivavano addirittura a negare l’esistenza di fatti del tutto evidenti. Più intimidazione ed assoggettamento di così…
Questa sentenza è probabilmente una svolta, per riconoscere come altre forme criminali associative possano assumere natura mafiosa in altri contesti territoriali rispetto a quelli originari a cui queste tipologia di aggregazione è nata e si è sviluppata. Mafia non è ormai solo la connotazione di un tipo di criminalità di un’area: è un modus vivendi criminale. Questo dice la Cassazione.
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