Lucio Poma (Nomisma): lo scenario economico 2020

Lucio Poma è professore associato di economia all’Università di Ferrara dal 2010 e capo-economista di Nomisma. Dopo avere partecipato ai suoi webinar per Nomisma su macro-economia e Controvento (ndr: comparti e singole imprese che in realtà navigano “controvento”, il 6,8% su oltre 71mila società di capitali della manifattura italiana analizzate da Nomisma), abbiamo approfittato della sua disponibilità e di Nomisma e Bovindo, per approfondire il discorso sullo scenario economico 2020.

Prof. Poma, inizierei riallacciandomi alla sua analisi macro-economica presentata a Nomisma in cui faceva il punto sulla situazione a cavallo tra 2019 e 2020.

Noi eravamo in recessione già prima del Coronavirus, il 4° trimestre 2019 era stato negativo chiudendo con un -0,3%; il pil 2019 è stato 0,3%, che significa praticamente nullo. Il pil del 2018 è stato 0,8%, che è zero. A parte il 2017 che abbiamo totalizzato il 1,6% di pil, ma ricordiamo che è stato l’anno boom a livello mondiale con una crescita del 3,8%, l’Europa 2,5% e la Germania 2,4%. Negli ultimi 10 anni il nostro pil ha sempre viaggiato su valori più bassi dell’1 per cento con punte negative nel 2013, in sintesi il nostro paese è stato fermo nell’ultimo decennio. Noi non dobbiamo puntare solo a tornare come prima del coronavirus (dove il paese era già sostanzialmente fermo), ma meglio di prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria. Dati i risultati della nostra ricerca Controvento, posso aggiungere che non è proprio vero che il nostro paese sia fermo. Esso è il risultato finale è una sintesi data dalle imprese Controvento che hanno incrementi di EBTDA anche del 15%, ma rappresentano solo il 6,8% della numerosità delle imprese della manifattura (società di capitali), con tutte le altre che faticano molto a orientarsi nelle nuove tipologie della competizione. Quindi il 2020 me lo attendevo debole (se non in recessione) senza ancora sapere quello che sarebbe successo con l’arrivo del Covid-19. Anche FMI e OCSE stimavano una crescita poco sopra lo 0; alla luce della situazione attuale posso dire che il paese non imploderà perché abbiamo questo gruppo di imprese Controvento, forti, internazionalizzate, organizzate, a capo di filiere, che faranno da motore per farci uscire dalla crisi. Resta il fatto che saranno anni durissimi, ma questo indipendentemente dal Covid, che va solo ad aggravare una situazione già di per sé traballante. L’Italia resta l’8° economia del mondo con 1780 mld di pil. Un paese come il nostro, che vanta una manifattura di eccellenza, deve pretendere e attendersi un valore di crescita del pil intorno al 2-2,5% ogni anno. Invece ci siamo adagiati su un trend che ci porta a festeggiare quell’unica volta che facciamo un 1,5% come nel 2017. L’Europa, purtroppo, oramai è il fanalino del mondo, gli Stati Uniti vanno forte, la Cina sta umiliando tutti, dire che ha rallentato (prima del Coronavirus) è ridicolo. Negli ultimi 4 anni ha realizzato una crescita superiore al 6%, non sarà più il 12-14% di una volta, ma bisogna considerare che la Cina oggi realizza oltre 13 triliardi, di Pil il che vuol dire che il 6% di oggi è molto, ma molto di più del 12% di quando dei triliardi ne chiamava solo uno. Continuando a crescere a tassi di crescita così elevati entro il 2025 raggiungerà o supererà gli Stati Uniti.

Alcuni analisti giudicavano la Cina in rallentamento, anche per via della guerra tariffaria con gli USA, lei che opinione ha in merito?

La Cina aveva rallentato, rispetto tutti gli indicatori che avevo portato nel webinar di Nomisma, quindi domanda di rame, oro, petrolio, per via del coronavirus. Ma se escludiamo questo fattore improvviso la Cina nel 2019 ha fatto il 6,1%, rispetto al 2,3 Usa e 1,3 UE. Immagini se l’Europa facesse il 6% di crescita qualcuno scriverebbe che sta rallentando? Stringendo, bisogna fare attenzione a non gettare tutte le colpe della recessione sul Coronavirus. Gli USA hanno pur sempre fatto 2,9% nel 2018 e 2,3% nel 2019; il Giappone, che non ha sofferto il contagio, economicamente sta malissimo, i dati economici di Tokyo sono pessimi con una deflazione che continua da 10 anni. E proprio la deflazione è un altro problema europeo, malgrado tutto il QE della BCE per portare l’inflazione al 2%, questa resta ferma a 0, e l’Italia è addirittura in deflazione. Questo scenario deflattivo comporta che i prezzi calano facendo rimandare nel tempo gli acquisti di beni durevoli nella consapevolezza di poter spuntare prezzi migliori in futuro. Inoltre quel poco di inflazione che era registrata in Italia era quasi completamente trainata dalla componente volatile dell’inflazione ovvero i beni energetici. Considerando che adesso il costo del petrolio al barile è passato dagli 86 dollari di ottobre 2018 ai 25 di oggi è facile capire che le spinte deflattive saranno ancora più incisive.

Arriviamo poi allo scoppio della crisi Covid-19 con tutto l’impatto economico che comporta, per affrontarlo gli Stati Uniti hanno stanziato una cifra pari al 10% del pil, l’Europa al 3%, l’Italia al 1,06% con lo 0,2% per la sanità. Gli strumenti messi in campo dall’Europa, quelli sicuri in attesa di eventuali Recovery Fund, ovvero BEI + SURE + MES, sono sufficienti?

Si tratta di qualcosa come 500 mld di euro, che sono una enormità di risorse. Il discorso è che se vengono dati a pioggia, per accontentare tutti, non modificheranno strutturalmente la situazione. Diverso potrebbe essere per l’eventuale Recovery Fund. In tal caso queste risorse dovrebbero essere mirate alle imprese che hanno fatto la svolta tecnologica. Ma temo che politicamente non sarà questa la strada che si seguirà.

Ricadiamo nel vecchio assioma secondo cui “si distribuiscono pesci, ma non canne da pesca”?

Ancora peggio in questo caso, dando contributi a pioggia si vanno a finanziare imprese senza futuro, che avrebbero chiuso a seguito della trasformazione tecnologica di Industria 4.0; una rivoluzione che selezionerà in maniera netta le imprese.

Ora che iniziamo la Fase 2 si parla di possibile riapertura a zone, ma se questo pare possibile per la ristorazione ad esempio, in uno scenario economico di filiere e distretti tipico del sistema Italia, come potrebbe essere possibile? E riallacciandosi alla globalizzazione estesa, quindi le catene di produzione, il WTO ha calcolato che a causa della crisi Covid-19 ci potrà essere un crollo dal 13 al 32%, la UE è molto più ottimista, ma prevede comunque un -9%.

Sono completamente d’accordo, pare che abbiamo scoperto con il Coronavirus che principi attivi di molte medicine arrivano dall’India, e che se questi paesi chiudono le esportazioni questo sarà un problema per la nostra produzione di medicinali. Si tratta di questioni risapute tra gli addetti ai lavori, ma che emergono d’incanto sotto gli occhi di tutti quando per un qualche motivo si deve affrontare una situazione di emergenza. Ma come già raccontato nel webinar di Controvento, il 74% della manifattura italiana è concentrato in quattro regioni, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna. Se non apriamo le imprese dell’Emilia non serve aprire quelle della Lombardia e viceversa. Discorso diverso per altre regioni le cui catene del valore non sono interconnesse con il motore del paese o semplicemente non esistono. Packaging, automotive, farmaceutica, sono tutti settori trainanti ad altissima innovazione ed internazionalizzazione e sono concentrate in queste quattro regioni, se non addirittura a livello regionale. Il packaging è tutto in Emilia, anzi quasi tutto nel capoluogo di provincia IMA, Marchesini, GD, Sacmi, tutte a Bologna, con l’aggiunta della vicina Tetrapak. Le supercar più famose al mondo sono concentrate in un fazzoletto di terra: Ferrari, Lamborghini, Maserati, Bugatti e Pagani, sono tutte qui.

Rispetto all’indagine Controvento che ha presentato, mi sono saltati agli occhi un paio di aspetti, uno mi pare ricorrente e riguarda il ‘nanismo’ delle imprese italiane. In Italia le imprese Controvento di fascia dimensionale alta sono il 24% contro il 73% di quelle tedesche, questo può essere un fattore di debolezza?

Potrebbe esserlo, ma nell’indagine Controvento abbiamo evidenziato come i settori trainanti siano packaging e farmaceutica, nel packaging le imprese con oltre 500 addetti realizzano il 65% dei ricavi del gruppo “controvento” di questo comparto e nella farmaceutica “controvento” il 49%. Tuttavia altri settori controvento come l’alimentare e la nautica non hanno neanche una grande impresa che sia riuscita ad entrare in Controvento. In questi settori ad esempio le imprese Controvento sono di dimensioni molto più piccole. Generalmente le imprese Controvento sono molto più grandi di quelle che restano fuori da questo gruppo. L’Italia come l’Europa difetta di imprese multinazionali giganti, così come di colossi bancari. Per talune partite future questo potrà essere un importante limite. Se penso al futuro, il cloud, i big data, il 5G tutti i players sono fuori dall’Europa e si trovano negli Stati Uniti, Corea, Cina con Huawei. Nel campo dei media e del e-commerce, i grandi player tutti fuori dall’Europa: Apple, Netflix, Alibaba, Amazon, Google e via dicendo.  In campo bancario non possiamo nemmeno confrontare JP Morgan o Asian Bank con gli istituti europei, sono dimensioni assolutamente diverse.

Innovazione, investimenti, Industria 4.0, questi sono i punti fondamentali delle imprese Controvento? E questo ha allargato la forbice tra queste eccellenze e le altre?

Esatto, la tecnologia, la ricerca, fanno la differenza. Dall’analisi di Crif sul ritorno rispetto gli investimenti, per le Controvento è il 17%, per le altre il 3%. Questi dati parlano da soli.

Non ho trovato in Controvento l’aspetto ‘età’ nella conduzione aziendale, che avevo viceversa ritrovato in un agrifood monitor giovani imprenditori del dott. Denis Pantini pubblicato lo scorso anno. Ricordo che le imprese condotte da giovani imprenditori under 30 conseguivano risultati quattro volte superiori rispetto quelle tradizionali.

Ha ragione, è un aspetto molto interessante, non è rientrato nella nostra analisi al pari della propensione all’export e altri parametri di lettura. Saranno sicuramente inseriti nella prossima ricerca Controvento che se tutto va bene dovrebbe uscire a fine di questo anno. La manifattura deve sempre innovare per rimanere sul mercato, non si deve fermare mai, questo DNA è fondamentale. Leggevo recentemente la storia dell’impresa Mazda. Una impresa giapponese i cui impianti produttivi erano siti a Hiroshima ben prima del fatidico giorno dello scoppio della bomba atomica. Questa loro storia ha iniettato nel loro DNA la capacità di accettare e fronteggiare sfide impossibili che altre imprese non volevano intraprendere come il motore Wankel. E’ questo spirito della ricerca del nuovo, del guardare “oltre la siepe” che permette alle nostre imprese italiane di poter navigare controvento.

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Un Commento

  • Riflessioni e analisi interessanti, possibilmente da riprendere con cadenza per verificare l’evoluzione.

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