Covid 19, lo scenario economico nel mondo
L’inizio della Fase 2 con la riapertura dei gangli produttivi ha riacceso i fari sulle differenze a livello mondiale per il modo in cui il Covid-19 ha colpito e quindi il differente impatto sui paesi vittima del contagio. Il rischio principale è che si acuisca il divario tra nord e sud e tra le diverse aree del pianeta, sistemi sanitari dei paesi del terzo mondo, ma anche emergenti come India e Brasile, hanno una risposta nettamente differente rispetto quella dei paesi industrializzati. Questo comporta un impatto economico più forte sia per il lockdown che per il calo della forza lavoro, oltre la caduta di fiducia da parte degli investitori e il conseguente spostamento di capitali verso porti e asset più sicuri.
I paesi negazionisti come il Regno Unito dove l’iniziale scetticismo di Boris Johnson ha causato danni enormi, ma costringendolo poi a tornare sui suoi passi, si è esteso agli Stati Uniti di Trump e al Brasile di Bolsonaro. Leaders populisti e con lo spettro di elezioni a breve come Trump, o con situazioni potenzialmente esplosive come le sterminate bidonville brasiliane, stanno guardando più al proprio interesse che al contesto in cui si muovono con effetti deleteri sulla popolazione e conseguentemente sull’economia. L’Università di San Paolo prevede che il Brasile a giugno sarà l’epicentro mondiale della pandemia.
L’Olanda si è eretta a nume tutelare dei bilanci europei, ma la sua economia sta risentendo pesantemente degli effetti Coronavirus, la floricoltura, settore fondamentale per l’economia dei Paesi Bassi, ha visto distruggere 400 milioni di fiori nel corso di aprile, inclusi 140 milioni di tulipani, mettendo in ginocchio l’intero comparto e l’indotto associato. In aggiunta l’indotto turistico con il mancato arrivo di 1,5 milioni di visitatori e la perdita di 25 milioni di dollari.
Come risulta dal Global Watch Economy di ISPI, “Kenya ed Etiopia sono da lungo tempo importanti produttori ed esportatori di prodotti floreali. L’industria dei fiori rappresenta l’1% del Pil del Kenya, costituendo il secondo prodotto esportato (dopo il the) per circa 1 miliardo di dollari all’anno. La crisi della domanda e della logistica ha colpito profondamente il settore nel paese: nel mese di marzo e aprile l’export è crollato di circa il 35% rispetto all’anno scorso, mettendo a rischio i 350.000 occupati nella filiera. La situazione è critica anche in Etiopia, il secondo esportatore di fiori dell’Africa. A causa della pandemia e della paralisi della logistica, l’export etiope nel settore della floricoltura è diminuito del 20%, a causa soprattutto del crollo degli ordini dall’Europa. Per impedire il collasso del settore, il Governo etiope ha designato il settore come essenziale, permettendo la sopravvivenza di aziende che garantiscono lavoro a circa 150.000 lavoratori. Nelle Americhe, la Colombia è stata colpita duramente dalla crisi. Il Paese latino-americano è il secondo esportatore mondiale di fiori, con vendite all’estero che ogni anno si attestano a circa 1,4 miliardi di dollari, il 90% della produzione nazionale che garantisce lavoro a 140.000 occupati. In aprile, il crollo delle vendite è stato pari all’80% rispetto al mese precedente, soprattutto a causa del crollo della domanda da parte degli Stati Uniti”.
L’Iran si appresta alla Fase 2 con 100.000 contagi e 6.000 morti, si inizia con la riapertura di centri commerciali, moschee e scuole, permesso di spostamenti, ma parrucchieri e palestre ancora chiusi. La Cina pur continuando con l’applicazione di misure di sicurezza, ha riattivato anche il turismo, pur se con numeri contingentati per adesso. Il Giappone, pur se il contagio è stato estremamente limitato, ha prorogato prudenzialmente lo stato di emergenza fino al 31 maggio e stanziato un contributo destinato a ogni cittadino giapponese di 100.000 yen.
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