Web Tax è legge, il dibattito continua
Pochi giorni prima di Natale è stata ufficialmente approvata la Web Tax, con 167 voti favorevoli e 110 contrari su un totale di 277 votanti. Sin dalla sua introduzione nella Legge di Stabilità avvenuta su volontà di Francesco Boccia (PD), presidente della Commissione Bilancio della Camera, la normativa ha scatenato un intenso dibattito, spaccando in due l’opinione pubblica e il mondo imprenditoriale.
La proposta di legge originaria, presentata in data 4 ottobre, prevedeva al primo comma “l’obbligo per i committenti di servizi on line e di spazi pubblicitari di link sponsorizzati di acquistare soltanto da soggetti quali editori, concessionari pubblicitarie, motori di ricerca e ogni altro operatore pubblicitario titolare di partita Iva […]” nonché “l’adozione di sistemi di tracciabilità dei sistemi di pagamento virtuali, in modo da individuare univocamente le parti della transazione e rendere manifesta la partita IVA del beneficiario del pagamento”. Prima di essere definitivamente approvato, il provvedimento è però stato rivisto in considerazione delle numerose polemiche sollevate da più fronti.
Nella nuova versione della Web Tax decade l’obbligo di partita Iva italiana a carico delle società estere operanti nel settore del commercio elettronico, come ad esempio Amazon o eBay, mentre, invece, permane per le società straniere tipo Google che vendono pubblicità online. Lo stesso dicasi per la parte relativa ai pagamenti, che dovranno essere 100% tracciabili così da individuarne facilmente i beneficiari. Quest’ultima esigenza deriverebbe dal fatto che, secondo il Legislatore italiano, il vuoto normativo sarebbe tale da non poter definire la corretta tassazione degli incassi riconducibili all’advertising online da parte di quelle aziende con sedi dislocate in altri Paesi, in grado di scaricare i loro guadagni su affiliate e controllate estere. Al fine di permettere tutti i controlli del Fisco, saranno, quindi, consentiti solamente i pagamenti elettronici o via bonifico e i proventi non saranno più calcolati sulla base delle spese sostenute per l’acquisto di spazi pubblicitari, ma prendendo in esame i profitti generati da tali operazioni.
Nonostante il Legislatore italiano abbia ridimensionato l’ambito di applicazione della Web Tax – anche dietro raccomandazione dell’Unione Europea, che temeva un possibile contrasto con i principi alla base del mercato unico – il dibattito non accenna a placarsi. Se, infatti, da una parte c’è chi sostiene che la Web Tax si muova nella “giusta direzione” di una maggiore tutela del gettito fiscale italiano, dall’altra c’è chi l’ha già ribattezzata “provvedimento ammazza internet”. In particolare, nel dibattito in Aula le opposizioni hanno parlato di una misura “inattendibile nelle previsioni e inadeguata rispetto agli obiettivi”, sia da una prospettiva più puramente economica (la norma rischia di rallentare l’economia digitale italiana, che al momento conta solo il 3,3% del PIL) che giuridica (per incompatibilità con le normative comunitarie sulla libera circolazione di beni e servizi).
I molti detrattori – fra cui anche il neo Segretario del PD, Matteo Renzi – sostengono che la Web Tax finirà per allontanare gli investitori stranieri e renderà molto più complicata la gestione della pubblicità su internet, senza contare le conseguenze per i piccoli imprenditori che vogliono esportare all’estero i loro prodotti. Da ultimo bisogna ammettere che la Legge – la cui entrata in vigore è stata posticipata per la prossima estate – stride con il concetto di World Wide Web, l’universo di reti mondiale, per la sua portata così nazionalista e restrittiva.
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