Cinquant’anni di Statuto dei lavoratori

Sono stati giustamente celebrati i cinquant’anni dello Statuto dei lavoratori. La legge 300 del 1970 giunse al termine di un periodo particolarmente carico di eventi, al punto che quello del 1969 fu definito l’autunno caldo. Questa importantissima norma, attuativa anche dell’articolo 1 della Costituzione che non a caso prevede il lavoro come fondamento della Repubblica.

Le posizioni delle parti erano estremamente conflittuali, e i movimenti degli anni sessanta, in particolare il 68 che viveva la sua lunghissima onda che, probabilmente, ancora non si è fermata. Le rappresentanze sindacali erano estremamente politicizzate, ed ognuna aveva un sindacato di riferimento; gli scioperi erano all’ordine del giorno, insieme a cortei e manifestazioni. I lavoratori rivendicavano i loro diritti scontrandosi con l’imprenditoria che temeva il rischio di vedere le proprie decisioni strategiche e aziendali messe a repentaglio da richieste di intervento da parte dei lavoratori che volevano una “democratizzazione”. La norma venne infine approvata da una maggioranza per l’epoca trasversale con l’astensione del partito comunista. Nel Pci erano presenti forti spinte radicali, nate dal Sessantotto e dall’autunno caldo, oltretutto presenti anche nella Cgil, che imputavano alla nuova legge il disegno di “ingabbiare le lotte operaie.”

Lo Statuto è sopravvissuto mezzo secolo ed è stato oggetto di due referendum entrambi relativi all’articolo 18, che prevede forme di tutela dei lavoratori da un licenziamento illegittimo, ingiusto o discriminatorio. Per alcuni aspetti possiamo dire che lo Statuto ha introdotto per la prima volta il concetto di Privacy oggi molto caro.

Che conseguenze ha portato e quali sono le ripercussioni di questa norma? La prima e forse più evidente, è che per alcuni aspetti ha comportato forti limitazioni allo sviluppo industriale italiano. Lo Statuto, infatti, prevedeva forme di garanzia dei lavoratori in aziende che superavano il tetto dei 15 dipendenti. Inevitabile per molti imprenditori mantenere il numero dei lavoratori sotto questo limite. Se da un lato la cosiddetta medio piccola impresa, fiore all’occhiello della nostra economia, rappresenta l’eccellenza del nostro paese, viene da chiedersi che cosa sarebbe potuto accadere a livello economico se fossero state previste diverse misure che non avessero posto questi pesanti limiti.

E’ ancora attuale lo Statuto, mezzo secolo dopo la sua approvazione? Nel 1970 era anacronistico avere ostacoli di ogni tipo dove non prevista da contratti collettivi, all’attività sindacale, ma oggi è probabilmente necessario rileggere alcune parti della norma sulle basi che non viviamo più nel mondo del lavoro al cui centro vi era la fabbrica su cui lo Statuto è modellata. Oggi, anche se non vogliamo ancora rendercene conto, lo schema tradizionale che ha governato il nostro sistema di lavoro, di vita ed economico, con l’orario 8.00 17.00 e il posto di lavoro fisso, non ha più ragione di esistere o essere mantenuto. E la costante ricerca del posto fisso ha portato all’assoluta paralisi della flessibilità, è un ostacolo che stiamo pagando pesantemente.

Riformare lo Statuto è una proposta azzardata e forse fuori luogo, ma non possiamo considerare che norme rigide e che hanno messo ostacoli allo sviluppo della grande industria in Italia, che in quegli anni iniziò a delocalizzare le produzioni, oggi sono anacronistiche e pericolose. Un’ultima considerazione nasce dall’osservazione di come il periodo di lockdown dovuto al Covid 19, abbia definitivamente sdoganato lo smart working che porterà ad una differente gestione del lavoro da parte di privati e pubblici, con probabili ripercussioni anche sulla scuola e nello stile di vita. Una riflessione che porti a rivedere alcune norme sul lavoro, magari anche lo stesso Statuto, potrebbero essere opportune.

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