Cronache dai Palazzi

Il decreto legge Semplificazioni spacca la maggioranza di governo. Disaccordi in particolare sugli appalti e sulla riforma dell’abuso di ufficio, e non sono da sottovalutare i vari dissapori a proposito delle norme sul condono edilizio.

A proposito di appalti è il momento di “osare”, ha affermato il premier Conte apprestandosi a dare il via libera al testo di 48 articoli che semplifica i progetti di opere pubbliche. Affidamento diretto per gli appalti fino a 150 mila euro e piani diversi per quelli di valore superiore: 5 imprese coinvolte per gli appalti fino a 350 mila euro, 10 imprese per gli appalti da 350 mila euro a un milione e 15 imprese per la terza fascia di appalti fra un milione e la cosiddetta soglia europea di circa 5,2 milioni di euro. Gare inoltre solo per le opere di maggior valore e sono previsti dei commissariamenti, individuati con Dpcm (decreti della presidenza del Consiglio), per quanto riguarda dei lavori specifici. Un’opzione, quest’ultima, sulla quale insistono soprattutto Cinque Stelle e Italia viva, che suggerirebbero di allegare al suddetto decreto un elenco delle opere da realizzare seguendo il “modello Genova”, ufficializzando in pratica la deroga al codice degli appalti.

I dem denunciano che “nessun beneficio è arrivato dal decreto Sblocca-cantieri”, con la convinzione che “non sono le regole del codice appalti a bloccare i cantieri mentre è vero l’esatto contrario”, ha affermato il capogruppo dem Graziano Delrio intervenendo a Montecitorio. La discussione si è poi allargata al reato di abuso di ufficio, e quindi l’articolo 17 della bozza del decreto in corso d’opera che lo circoscrive alle sole ipotesi in presenza di comportamenti del funzionario che risultino difformi da eventuali regole, senza margini di discrezionalità. Nella pratica l’obiettivo sarebbe esplicitare la formulazione della norma eliminando eventuali elementi che la potrebbero rendere aleatoria, prevenendo nel contempo un eventuale “sciopero della firma” dei vari funzionari timorosi di rimanere impigliati nelle maglie della magistratura.

“Il decreto Semplificazioni dobbiamo portarlo a casa, perché è una svolta che cambierà il Paese e finalmente ci consentirà di correre. Non posso accettare che venga indebolito a colpi di veti”, ha ammonito il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di fronte alle minacce del fuoco amico. Per il Nazareno va comunque recuperato lo “spirito unitario che permeava la coalizione durante l’emergenza Covid”, e il segretario dei Dem Zingaretti ribadisce la necessità di non accumulare rinvii per non arrivare a settembre con “troppi nodi da sciogliere”, tra l’altro con le Regionali in corso. In sostanza “in autunno la situazione potrebbe diventare esplosiva” e quindi occorre essere pronti. Il premier ribadisce comunque la necessità di “stare ai fatti e puntare ai risultati, non alle polemiche. Se le semplificazioni non saranno ostacolate avremo segnato un punto importantissimo anche in Europa”, ha affermato Conte definendo il decreto in questione “la madre di tutte le riforme”.

In una nota Palazzo Chigi conferma la “piena convergenza” sul decreto con l’interno di mettere a tacere voci polemiche, anche se soprattutto lo stralcio del condono edilizio sembra non essere stato digerito. Un’altra questione cruciale riguarda i fondi europei che l’Italia potrà e dovrà impiegare nei prossimi mesi e quindi il Mes, il fondo europeo di 36 miliardi che i grillini continuano ad osteggiare, e il Recovery Fund. Conte riserva la “priorità” alla seconda opzione, spiegando che ottenere il Recovery Fund “sarà una vittoria importante, di tutta la coalizione”. Nello specifico, solo dopo aver compreso “quale sarà la cifra complessiva a cui può attingere l’Italia” si potrà “prendere una decisione sul Mes”, ha spiegato Giuseppe Conte.

La Commissione europea, a sua volta, è intenta a verificare la capacità del governo di Roma di sbloccare gli investimenti pubblici e, come è noto, in questo contesto l’esecutivo Conte mira ad ottenere consistenti trasferimenti a fondo perduto nelle prossime trattative con la Ue. A tale proposito, dal versante dei Paesi cosiddetti “frugali” (Austria, Olanda, Svezia e Danimarca), il premier olandese Mark Rutte ha ammonito: “È  cruciale che la prossima volta l’Italia sia in grado di rispondere a una crisi da sola”. In sostanza “l’Olanda capisce e appoggia l’appello alla solidarietà” ma “gli Stati i quali necessitano e meritano aiuto devono anche far sì che in futuro siano capaci di affrontare da soli crisi del genere in modo resiliente”.

I Paesi frugali chiedono in pratica limiti e condizioni precise a un aiuto, pur riconoscendone l’urgenza e il carattere essenziale. E a proposito del Patto di Stabilità “dovremmo assicurarci che venga applicato in modo rigoroso. Non ha senso allentarne le regole”, ha spiegato Rutte al Corriere della Sera. Il premier olandese Rutte e il suo ministro delle Finanze Workpe Hoekstra sono stati in prima fila nell’opposizione ai Coronabond.

Rutte sottolinea che “un sistema di prestiti è molto più logico” di un sistema di contributi a fondo perduto che tra l’altro non garantirebbe alcuna sostenibilità del debito pubblico. Occorre inoltre concentrarsi “sull’aumento della competitività e della resilienza” dei Paesi che ricevono gli aiuti.

“I rapporti tra Olanda e Italia sono eccellenti”, ha dichiarato Mark Rutte, entrambi Paesi fondatori dell’Europa unita insieme a Belgio, Lussemburgo, Francia e Germania. “L’impatto della pandemia per l’Italia è stato enorme, sia in termini di vite umane che di danni all’economia”, ha ammesso Rutte aggiungendo che occorre “essere pronti ad aiutare l’Italia… a superare la crisi economica”; tutto ciò “per spirito solidale, ma anche perché io credo che un’Europa forte sia nell’interesse di tutti. E questo significa anche un’Italia forte”, ha ribadito il premier olandese.

Sul fronte interno, alla crisi economica si aggiunge la pluriennale diatriba sulla riforma della Legge elettorale che il capogruppo dem Graziano Delrio ha chiesto di calendarizzare il 27 luglio alla Camera. Per i Dem il nuovo sistema di voto potrebbe rivelarsi una rete di protezione per il governo, in effetti non sarà facile andare a elezioni anticipate se a settembre una Camera del Parlamento avrà approvato la riforma del sistema elettorale. Dopo Montecitorio occorrerebbe attendere l’approvazione definitiva e quindi si prenderebbe altro tempo. Il dubbio è che ciò avvenga, ossia che la riforma della Legge elettorale ottenga il via libera della Camera dei Deputati. Dal fronte delle opposizioni la Lega è convinta che “la via maestra sono le elezioni. Mandare a casa un governo che blocca tutto è vitale per il futuro dell’Italia”. Mentre Forza Italia ribadisce che resterà all’opposizione definendo una “fake news” un eventuale “governo di unità nazionale”, o cosiddetto esecutivo di scopo che riassumerebbe una ipotizzata maggioranza di responsabilità. L’unica certezza sembra essere che per un eventuale cambiamento di rotta occorrerà comunque aspettare settembre.

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