La Giustizia può affossare l’Economia?

“Difficilmente l’industria e il commercio riusciranno a prosperare in uno Stato che sia carente dal punto di vista dell’amministrazione della Giustizia”. Può sembrare una banale ovvietà che si sente oggi ad ogni angolo di strada, ma sono parole scritte da Adam Smith, probabilmente il padre della moderna economia, nel suo volume La ricchezza delle nazioni, scritto quando ancora non era iniziata la prima rivoluzione industriale e i sistemi produttivi erano ben lontani da quelli attuali. Sono passati circa 250 anni da questo libro; sono cambiati i tempi e gli scenari economici: dai carri guidati dai cavalli e la navigazione a vela siamo passati agli aerei attraverso le navi a vapore e le ferrovie. Le comunicazioni, allora affidate al nascente servizio postale, oggi attraversano il mondo in frazioni di secondo, ma la verità dell’affermazione di Smith rimane. Tra i fattori che permettono lo sviluppo di un’economia, vi è un buon funzionamento della Giustizia.

Potrebbe sembrare strano a qualcuno la correlazione, come le scelte di un imprenditore dipendano dal funzionamento della Giustizia; altri fattori dovrebbero avere maggiore importanza, quali la burocrazia, le infrastrutture, i sistemi di tassazione e la fiscalità. Tuttavia la giustizia ha un peso determinante in quanto se non vi è la garanzia di un intervento dell’autorità pubblica a tutelare i diritti economici e di proprietà, gli operatori perdono la fiducia nel contratto, nei rapporti sottostanti e, di conseguenza, indirizzano i loro sforzi in altre direzioni. Sempre per dirla con Smith, “L’industria e il commercio difficilmente riusciranno a prosperare in uno Stato in cui non ci sia un certo grado di fiducia nella Giustizia, la quale non può scaturire altro che dal potere pubblico”.

Non si auspica uno stato di polizia, assolutamente, né il ripristino della prigione per debiti, ma una seria e attenta riforma della Giustizia è assolutamente indispensabile per ridare fiducia e spazio alle imprese. L’attuale situazione, aggravata dall’emergenza Covid, che ha di fatto paralizzato i Tribunali, oltremodo lontani dal poter riprendere a pieno regime, potrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile alla ripresa economica.

Se già era infatti difficile chiedere ad un imprenditore e a possibili investitori di avviare un’attività economica in Italia, adesso l’impresa potrebbe farsi disperata. Una causa civile dura in primo grado, vale a dire prima di avere una sentenza che possa essere eseguita, da tre a sei anni e, anche nell’ipotesi migliore, si tratta di un tempo intollerabile per un imprenditore che voglia ottenere il pagamento dei suoi crediti.

Sotto questo punto di vista i più recenti interventi, che secondo i legislatori susseguitisi avevano uno scopo deflattivo e cercavano di favorire soluzioni conciliative, si sono rivelate nei fatto un pieno fallimento: quale scelta potrebbe fare un debitore che ha davanti a se la strada di trovare un accordo con il proprio creditore ovvero iniziare una causa con una sentenza che potrebbe arrivare tra anni?

A tutto ciò si sono aggiunte le chiusure degli uffici giudiziari e cause rinviate durante il periodo di lockdown anche al 2022; con buona pace di aziende che vedono crediti incagliati, attività bloccate, probabilmente interessi passivi che decorrono in quanto, nel frattempo, sono state costrette a ricorrere a crediti non destinati alla gestione.

Ad aggravare questa situazione si sono aggiunti anche i sindacati dei cancellieri; la Fp CGIL ha emesso una dura nota nella quale ha definito gli avvocati “privilegiati egoisti” in quanto “pretendono la ripresa dei processi perché per loro sono fonte di guadagno”. Immediata la replica dell’avvocatura veneziana che non ha mancato di porre in evidenza come la classe forense difenda i diritti di tutti mentre i sindacati solo lo smart working. Resta il dato di fatto che, mentre riaprivano fabbriche, scuole e negozi, il Ministero della Giustizia non aveva strutturato un sistema organico di riapertura dei tribunali demandando alle sedi locali le forme di organizzazione del lavoro.

Il problema della Giustizia esisteva comunque già prima del Covid, ma questa emergenza potrebbe dare una spallata importante ad un sistema già debole e provato, dove alla carenza di risorse non si può certo offrire sistemi di disincentivazione delle cause non solo sotto forma di sistemi alternativi, ma anche di costi per gli utenti. E non si parla di onorari per avvocati, bensì di quelli necessari ad instaurare una causa. A titolo esemplificativo, avviare un giudizio per un recupero crediti per centomila euro, ha un costo vivo di contributi unificati, diritti e spese di oltre € 1.700,00. Un elemento che un imprenditore non può non considerare.

Il Ministero della Giustizia ha molto lavoro da fare sul punto, ma non è il solo che dovrà impegnarsi per apportare un contributo decisivo alla riforma della Giustizia che possa ripercuotersi, insieme ad altre necessarie riforme, sull’intero sistema economico italiano.

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