Roberto Grandi, Presidente Bologna Musei

Presidente Istituzione Bologna Musei, Professore Alma Mater-Università di Bologna, dirige il Master internazionale “Marketing, Communication, New Media” (Bologna Business School), Visiting Scholar e docente a Annenberg School of Communication (University of Philadelphia), Institute of Communication (Stanford University), Brown University, Mass Media Department (Tonji University, Shanghai), ha scritto libri e realizzato ricerche su Comunicazione di moda, Comunicazioni di massa, City branding, Comunicazione politica e di impresa, Marketing territoriale, Città creative. Parliamo di Roberto Grandi, dal 2017 Presidente del CdA dell’Istituzione Bologna Musei, dal 2012 al 2015 è stato coordinatore del progetto Bologna City Branding, dal 2000 al 2009 Pro Rettore alle Relazioni Internazionali all’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna, dal 1996 al 1999 Assessore alla Cultura al Comune di Bologna. Lo abbiamo intervistato.

Bologna Musei è un sistema complesso di molte entità diverse, dal MAMbo al Museo Internazionale e Biblioteca della Musica per citarne un paio, come si connettono fra di loro e ci sono punti di contatto comune?

L’Istituzione Bologna Musei (che comprende 14 sedi) è una realtà in cui i singoli musei hanno una relazione di complementarità reciproca all’interno di una cornice valoriale e una mission comune a tutti. Complementari, perché partendo dal Museo Archeologico per arrivare a MAMbo, custodiscono, raccontano e promuovono la conoscenza della storia e della cultura dell’umanità, con un focus particolare sul nostro territorio. Le nostre collezioni permanenti sono infatti un percorso ideale che propone migliaia di possibili passeggiate nello spazio e nel tempo. Simili, perché in quanto musei civici condividono l’essere, in primo luogo, degli hub culturali con interazioni da sviluppare e approfondire sempre di più tra musei e società in una logica di accountability, ossia di responsabilità sociale, e di welfare culturale, con iniziative anche esterne alle mura dei musei per coinvolgere i non ancora pubblici. A mio avviso questa responsabilità sociale dovrebbe essere condivisa nei fatti da tutte le istituzioni culturali, musei compresi, al di là della loro specificità. E’ inoltre importante per istituzioni che hanno a che fare anche con la conservazione della memoria, avere lo sguardo orientato all’oggi e, soprattutto, al domani. I musei sono nella posizione migliore per proporsi come ponti tra le memorie del passato che acquisiscono, conservano, ricercano, espongono, comunicano e il futuro come orizzonte di questa attività.

Riallacciandomi alla domanda precedente, esiste un percorso trasversale, anche sotto forma di abbonamento, che permette di visitare musei diversi? Mi spiego meglio, chi va a visitare il Museo Medievale può trovare un senso nel proseguire al MAMbo seguendo un filo logico o si tratta di generi diversi? Anche rispetto i feedback che avete avuto dai visitatori.

Dal punto di vista di chi opera all’interno dei vari musei la competenza e curiosità scientifica li porta a oltrepassare i confini delle rispettive aree. Dal punto di vista delle proposte concrete e della comunicazione, fino a un paio di anni fa ciascuna area coltivava i propri frequentatori con una logica prevalente autoreferenziale. Basti pensare che vi erano solo newsletter di area, il che sottintendeva che si credeva poco in un frequentatore trans-museale. Oggi questa logica comincia ad essere erosa, in primo luogo nella comunicazione: abbiamo creato una newsletter e, soprattutto, un profilo Instagram della istituzione in cui si narra ciò che avviene nei diversi musei. La risposta è stata molto positiva. Abbiamo responsabili comunicazione delle varie aree che portano avanti attività di comunicazione coordinate. Recentemente i nostri operatori museali hanno iniziato una serie di video su YouTube dal titolo “La finestra sul cortile”. In questo caso non è il cortile del capolavoro cinematografico di Alfred Hitchcock, ma il cortile di un altro museo. Ognuno narra alcuni aspetti di un museo attraverso lo sguardo di un altro. Sono convinto che uno dei vantaggi dell’appartenere tutti alla stessa Istituzione è proporre in maniera affascinante e creativa dei percorsi che coinvolgano più musei e che attraversino anche fisicamente la città. Ampliare l’attività di mediazione culturale è uno degli obiettivi che perseguiremo già dai prossimi mesi.

Come promuovete l’attività museale? Cosa è cambiato nel corso degli anni nella promozione, vi siete adeguati ai nuovi mezzi di comunicazione?

In primo luogo è importante avere chiaro che cosa comunicare. Per fortuna noi abbiamo collezioni permanenti importanti e il museo di uno dei più grandi artisti italiani del secolo scorso, Giorgio Morandi. Dobbiamo quindi, in primo luogo, individuare i canali comunicativi più rilevanti per i diversi tipi di pubblici o target di riferimento. I residenti e i turisti, nazionali e internazionali, oltre alle scuole. I residenti li raggiungiamo principalmente attraverso le nostre newsletter, i canali digitali che i vari musei gestiscono, la newsletter di Card Cultura (che supera i 40.000 abbonati), la informazione locale incentrata soprattutto sui diversi nuovi percorsi che proponiamo, come le visite di un quarto d’ora incentrate su una singola opera d’arte (per rendere nuova e originale la visita), e sulle mostre, spesso piccole, ma di grande qualità che proponiamo con una certa assiduità. I turisti li raggiungiamo principalmente attraverso la nostra presenza sul sito di Bologna Welcome, i nostri siti e la presenza su tante testate nazionali e, talvolta, internazionali grazie alla attività del nostro ufficio stampa. Per raggiungere i risultati che ci aspettiamo dovremo sicuramente investire di più sui canali digitali e trovare delle partnership oggi difficili da individuare.

Quanto è complicato portare avanti una istituzione rivolta all’arte nell’Italia di oggi? Anche come finanziamenti.

Tutti noi sperimentiamo ogni giorno come la gestione del nostro tempo personale si concilia con crescente difficoltà con la fruizione fisica di attività culturali. A questa scarsità di tempo dobbiamo aggiungere le barriere culturali e sociali a cui ho già accennato. I nostri musei si confrontano giornalmente con questi problemi tenendo conto di un bilancio che per metà è rappresentato dai trasferimenti del Comune e per metà da entrate che reperiamo direttamente. Da una parte il ricavato dei biglietti (crollato per tutti i musei del mondo in questi mesi di lockdown e post-lockdown) e dall’altra ciò che ogni anno ricaviamo dalla partecipazione a bandi e dalle sponsorizzazioni fino alla recente nascita di un nuovo strumento di sostegno, un trust creato per finanziare iniziative specifiche sull’arte contemporanea legate a MAMbo. Il trust, uno strumento di finanziamento consolidato nei paesi anglosassoni, ma non ancora utilizzato in ambito museale in Italia, è stato attivato a luglio e prevede la partecipazione come disponenti di istituzioni così come di privati – al momento Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e BolognaFiere – che hanno contribuito per 30.000 euro ciascuno all’anno con un impegno di tre anni. Presto nel trust confluiranno altri importanti donatori.

Rapporti con altri musei e istituzioni, sia italiane che estere, ci sono forme di collaborazione e scambio come mostre o esposizioni?

Le forme di collaborazione sono continue e coinvolgono tutti i nostri musei. Al di là dei prestiti per mostre (come nel caso di quelle sempre più numerose di Giorgio Morandi nel mondo o, per fare un esempio di oggi, il dipinto Ritratto di Gonfaloniere delle nostre Collezioni Comunali d’Arte che va ad arricchire la mostra su Artemisia Gentileschi che aprirà il 3 ottobre alla National Gallery di Londra) continuo è lo scambio di opere con altri musei che operano nella stessa area. È una modalità intelligente, creativa e poco costosa per innovare i nostri percorsi museali aggiungendo, per periodi limitati, opere che dialogano tra loro. La fortuna di avere collezioni permanenti così ricche in tutti gli ambiti artistici come le nostre rende possibile scambi molto intensi.

Bologna è diventata una meta turistica e non più solo di passaggio, cosa è cambiato e cosa cambierebbe per aumentare l’attrattività della città se avesse questo potere? Un suggerimento alla politica insomma.

Quello che abbiamo verificato dal nostro osservatorio è la ricerca da parte dei turisti di esperienze reali che includono anche la visita alle collezioni permanenti che con opere uniche e distintive arricchiscono la conoscenza e l’esperienza del territorio. Ciò che dovremmo fare è definire meglio i contorni di Bologna Città di Cultura e d’Arte (che bilanci correttamente Bologna Città del Cibo, che è un altro elemento attrattivo importante) per farne un elemento identitario del nostro territorio e del city branding verso i turisti. Una città deve definire le proprie vocazioni principali, deve fare delle scelte che siano convincenti. Una di queste è puntare su Giorgio Morandi e su una ridefinizione del suo Museo. Oggi non solo si moltiplicano le mostre su Morandi (noi stessi avremmo dovuto inaugurare una grande mostra su Morandi al Cafa Museum di Pechino in novembre, rimandata per pandemia) anche i suoi quadri battuti alle aste stanno raggiungendo delle valutazioni sempre più elevate. Purtroppo una visione un poco provinciale che tende a svalutare ciò che abbiamo vicino impedisce di considerare Giorgio Morandi come uno degli elementi più attrattivi del territorio su cui portare avanti (insieme al progetto di un rinnovato museo) una coerente attività di promozione.

Lei ha ricoperto diversi incarichi da illuminato assessore alla cultura alla cattedra universitaria, ora Presidente di Bologna Musei, in quale veste le maggiori soddisfazioni e se potesse tornare indietro cosa farebbe di diverso o non farebbe?

L’università di Bologna è un forte elemento identitario a livello internazionale che porta in città intelligenze che spesso rimangono e arricchiscono il territorio. All’università dobbiamo affiancare una città che propone esperienze autentiche in vari settori. Bologna Città Europea della Cultura nell’anno 2000 era l’occasione (per come l’avevamo organizzata) di porre la cultura in tutti i suoi aspetti al centro dello sviluppo e della identità della città. La produzione culturale (dalle strutture più informali a quelle più strutturate insieme alle istituzioni formative quali l’università, l’Accademia di Belle Arti, il Conservatorio, in primo luogo) e la fruizione culturale verso un pubblico sempre più largo avrebbero dovuto costituire una scelta strategica sulla quale continuare a investire intelligenze e economie nel tempo. Venti anni fa era un posizionamento originale in quanto ancora non si parlava a livello così diffuso di città creative e industria culturale. Non è andata esattamente così ma questa è ancora una strada da percorrere.

Progetti futuri? Cosa ci aspettiamo per i Musei di Bologna dei prossimi anni?

Ciò che mi auguro è che i musei civici vengano vissuti sempre meno come un insieme di sale espositive, ma come una grande istituzione culturale che, forte del proprio patrimonio materiale, simbolico e culturale unico, contribuisce a definire progettualità per un futuro sostenibile, inclusivo e partecipato. Ciò comporta da parte dei musei assumersi una grande e necessaria responsabilità.

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