Brexit senza fine

A che punto è l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea? Ricordiamoci il miserabile spettacolo del 2019, con la guerriglia parlamentare in seno allo stesso Partito conservatore, che portò alle dimissioni del Governo di Theresa May, all’avvento di Boris Johnson come Primo Ministro, a nuove elezioni, alla riconferma dei Conservatori al potere e alle dimissioni del leader laburista Jeremy Corbyn. Tutto questo per l’incapacità del Parlamento di approvare l’accordo negoziato dalla May con l’UE, che conteneva, a proposito della tormentata questione delle frontiere doganali tra Repubblica Irlandese e Irlanda del Nord, la discussa clausola del “backstop”, considerata da una parte dei Tory e dal partito di maggioranza in Irlanda del Nord insufficiente salvaguardia per la sovranità inglese.

La crisi parve almeno in parte superata quando, nel dicembre scorso, il Governo Johnson riuscì a firmare con Bruxelles un nuovo “accordo di ritiro”, da cui era stato eliminato il “backstop”, ma erano introdotte alcune clausole di salvaguardia volute da Dublino per non giungere a una rovinosa separazione doganale tra le due Irlanda.

Boris Johnson presentò il nuovo accordo come un trionfo e il Parlamento finì coll’approvarlo. Si trattava però pur sempre di un’intesa sui principi, cui doveva seguire un negoziato concreto sui termini della separazione. I negoziati di fatto si sono tenuti (e formalmente sono ancora in corso) ma si sono presto urtati in ostacoli apparentemente difficili da superare: la questione della pesca nella acque britanniche, l’applicazione all’UK delle norme europee sulla concorrenza e gli aiuti di stato e altri. Cose che a Bruxelles paiono del tutto legittime, ma ripugnano allo sciovinismo sempre più accentuato e sovranista di Londra.

Per consentire un’uscita ordinata della GB il 31 dicembre prossimo, un accordo avrebbe dovuto essere trovato entro il 15 ottobre, per lasciare il tempo necessario alle approvazioni parlamentari, a Londra e a Strasburgo. Le due parti perciò continuavano a tenere in piedi un dialogo, con sempre più evidente diffidenza e disamore reciproci. Ma nelle ultime settimane è sopravvenuto un nuovo e grosso ostacolo. Il Governo Johnson ha presentato al Parlamento un progetto di legge che consente ai singoli Ministri di contravvenire a determinate clausole dell’accordo firmato con Bruxelles, rinnegando così di fatto l’accordo stesso. Dallo stesso governo è stato più o meno riconosciuto che rappresenta una violazione della legge internazionale, ma si è detto che si tratta di una salvaguardia limitata e necessaria, per evitare mali peggiori (cioè, ha detto il PM, che l’UE possa “ritagliare in futuro parti del Regno Unito” attraverso uno statuto doganale speciale per l’Irlanda del Nord).

Si tratta di un’iniziativa senza precedenti tra paesi democratici, civili e sottomessi allo stato di diritto  (lasciamo da parte gli Stati Uniti che, con Trump, non lo sono più) e un grave colpo alla buona fede con cui vanno negoziati e conclusi gli accordi. Le reazioni non sono infatti mancate: da parte di un gruppo di deputati conservatori inglesi, che hanno dichiarato con non voteranno la legge (per proteggere l’immagine e la credibilità internazionali della Gran Bretagna) e naturalmente da parte europea. L’impressione è che sia Bruxelles che le principali capitali dell’UE siano più irritate e indignate della disinvoltura di Boris Johnson di quanto lascino trasparire ufficialmente (ma questi sentimenti traspaiono chiari nei commenti di fonti ufficiose o nella stampa vicina ai vari governi, in genere molto dura con Londra).

La domanda chiave è ora questa: da parte di Londra si tratta di una tattica negoziale abbastanza classica (spingere fino alla rottura per ottenere di più) o in realtà Boris Johnson e la sua pattuglia di fanatici “brexiter” puntano deliberatamente all’uscita “senza accordo” in modo da liberarsi di qualsiasi vestigia dell’influenza europea? Comunque sia, non so se l’UE si assumerà la responsabilità della rottura, ma certo l’esasperazione crescente contro la malafede britannica non augura bene sulla tolleranza e la pazienza che le tattiche di Londra hanno fino a qui, io credo a torto, ottenute.

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