Giustizia di piazza a colpi di like
La triste vicenda di Colleferro, del giovane ucciso a botte, ha suscitato sgomento, orrore, indignazione e altro ancora. Non è ammissibile una simile violenza, completamente immotivata, da parte del branco su un ragazzo solo.
Lasciamo però da parte questa storia, ammesso sia possibile farlo, nella sua essenza di fatto storico e proviamo a prenderla come esempio stereotipo per osservarne gli effetti e cercare di focalizzarsi su tutto ciò che ne è derivato in rete e in quella minima parte di realtà vera, non virtuale, che sembra essere sempre meno parte delle nostre esistenze.
Già il giorno dopo il fatto erano stati messi in Rete tutti gli elementi necessari per emettere una sentenza ed eseguirla da parte del popolo di Internet. Giornali e social invasi dall’immagine della vittima seduta ad un banco di scuola e gli arrestati in atteggiamenti inequivocabili con muscoli e tatuaggi in mostra, scattate in palestra, già condivise e commentate con tutti i possibili insulti. Lo strazio dei genitori della vittima da una parte, con le magliette bianche al funerale fanno da contraltare ad articoli dove si dettaglia la forma di combattimento praticata dagli autori dell’aggressione. La soluzione è stata addirittura già individuata da qualcuno nel chiudere le palestre.
I giornalisti, in questo, sono i migliori propagatori non più della notizia, ma del suo contorno e si sono distinti nel diffondere nomi e immagini scegliendo quelle che più provocano sentimenti, specialmente se questi ultimi, a loro volta, possono scatenare ulteriori reazioni, commenti, condivisioni. Poniamo il caso, come ipotesi, che sui profili social degli aggressori vi fossero foto in atteggiamenti teneri con un gatto o un coniglio sarebbero state pubblicate? Dubito.
Il caso viene vivisezionato per trovare spunti sensazionalistici e la possibilità di dare in pasto i protagonisti alla TV spazzatura, l’ultima frontiera rimasta al di fuori della Rete per dare sfogo ai bassi istinti. Non meravigliamoci se, a breve, in qualche programma serale vedremo veri o improvvisati avvocati e i tuttologi di turno, vomitare le loro sentenze, assiomi e verità assolute sul caso.
Proviamo a non parlare della vicenda. Attendiamo che vengano eseguite le indagini; che venga elevato un capo di imputazione; che vengano depositati gli esiti dell’autopsia. Attendiamo che le persone presenti vengano ascoltate come testimoni, e non come “persone informate sui fatti.” Sono solo cavilli, obietterebbe qualcuno. Che cosa cambia? Semplicemente tutto, perché è diverso che le dichiarazioni di chi ha assistito ad un episodio vengano ascoltate solo dalla polizia o da un Pubblico Ministero e, viceversa, in contraddittorio, davanti ad un Tribunale, con l’avvocato difensore che può verificarne l’attendibilità. Già, l’avvocato difensore; un inutile orpello di cui si può fare a meno secondo il Tribunale della Rete; di cui si deve fare a meno in questi casi, perché simili bestie non meritano una difesa: buttare la chiave, lavori forzati, pena di morte. Magari anche per l’avvocato che osa difenderli. E i legali degli arrestati hanno già ricevuto minacce. Poco importa al popolo della Rete il fatto che esistano una Costituzione, dei codici, dei diritti da rispettare per tutti, a cominciare da quello di presunzione di innocenza. Ipotesi non contemplata dai giudici della Rete. Inutile provare a spiegare la differenza tra dolo, preterintenzione e dolo eventuale.
Chi naviga in Rete sa tutto, e la Rete permette di dire la propria ed insistere fino ad avere l’ultima parola, silenziando gli altri, non accettando il contraddittorio, tacciando di ignoranza, incompetenza, buonismo, fascismo o quello che si vuole. Basta un “capra!” per chiudere la discussione.
Oggi è la Rete che fa e sfa, che decide e che inventa personaggi. Quella stessa Rete che permette a chiunque di diventare, o qualificarsi, influencer o opinionista cavalcando le tendenze del momento; e poco importa se siano argomenti di valore o reale interesse. Ma è sempre positivo?
L’ennesima ultima inutile prova della potenza della Rete? Una signora che, per puro caso, è diventata la protagonista dell’estate con il suo “Non ce n’è di coviddi” ha aperto un profilo social che in pochissimo tempo sembra abbia superato i follower di Alberto Angela. Difficile pensare che i suoi fan siano diversi dal pubblico di commentatori dell’omicidio di Colleferro.
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