Camera di Consiglio
Il caso: un agente immobiliare, con la complicità di una sua collaboratrice, avendo avuto incarico da parte di un cliente di vendere l’appartamento di quest’ultimo ad un prezzo di Euro 1.100.000,00, induceva in errore l’acquirente riferendogli che il prezzo era di Euro 1.200.000,00, mentre al venditore riferiva di aver reperito unicamente una persona disposta ad acquistare a non più di Euro 1.050.000,00. L’agente, quindi, furbescamente concludeva a proprio nome, come acquirente, un preliminare di acquisto con il venditore per il prezzo inferiore (Euro 1.050.000,00) e, sempre a proprio nome, ma come venditore, concludeva altro preliminare con l’acquirente per il prezzo superiore (Euro 1.200.000,00), lucrando, quindi, oltre alla normale provvigione la differenza di Euro 150.000,00.
Ci troviamo qui di fronte ad un caso di truffa contrattuale. L’art.640 del codice penale inserisce nei delitti contro il patrimonio mediante frode il reato di truffa, che si configura quando qualcuno “ con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. Pertanto gli elementi necessari sono gli artifizi od i raggiri, l’induzione in errore, l’ingiusto profitto e l’altrui danno.
La norma, ovviamente, tutela il diritto di autodeterminare la propria volontà nelle scelte di carattere economico vietando distorsioni illecite della realtà, senza le quali le scelte sarebbero state diverse. Nella truffa contrattuale, specificatamente, bisogna dimostrare il nesso causale tra l’induzione in errore, la conclusione del contratto e l’ingiusto profitto. In altre parole è necessario che l’induzione in errore abbia causato la conclusione del contratto e quest’ultima abbia avuto come conseguenza un ingiusto profitto, con l’altrui danno.
Nel caso che ci occupa, le ulteriori norme che vanno tenute in considerazione sono l’art.1337 del Codice Civile che stabilisce la regola della buona fede nelle trattative contrattuali, l’art.3 della L.39/1989 e l’art. 1759 del Codice Civile che dispongono il dovere del mediatore,e più specificatamente dell’agente immobiliare, di dare le più puntuali informazioni ad entrambe le parti sulle condizioni dell’affare, nonché sulle circostanze relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare.
E’ evidente che l’agente immobiliare, tacendo il vero prezzo e lucrando sulla differenza, ha nascosto alle parti quelle che erano le condizioni reali dell’operazione economica e tale comportamento, peraltro configgente con i doveri del mediatore (vedi i su richiamati art.3 L.39/1989 e 1759 C.C.), certamente configura l’ipotesi di artifizio o raggiro prevista per il reato di truffa. Tale artifizio ha indotto l’acquirente a comprare ad un prezzo superiore rispetto a quello effettivo,subendo un danno, e la differenza di prezzo è stata acquisita dal mediatore, con un ingiusto profitto. Pertanto la truffa si è sicuramente consumata.
A tali conclusioni è giunta, giustamente, la Suprema Corte di Cassazione la quale ha condannato l’agente e la sua collaboratrice.
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[NdR – L’autore dell’articolo, avvocato, è membro del “Progetto Mediazione” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma]