Annalisa Malara e il “paziente 1” di Codogno

Medico chirurgo, si è specializzata in Anestesia e Rianimazione all’Università di Pavia. Dopo la formazione presso il Policlinico San Matteo di Pavia ha prestato servizio come anestesista rianimatore prima all’Ospedale civile di Vigevano e, attualmente, all’Ospedale Maggiore di Lodi, cui afferisce anche la struttura ospedaliera di Codogno. Parliamo di Annalisa Malara (Cremona, 1982) che era di turno il 20 febbraio 2020, quando venne ricoverato quello che si sarebbe in seguito rivelato come il primo caso accertato di Covid-19 in Italia. Annalisa vive a Lodi e ama molto la montagna e gli sport. A ottobre uscirà per Longanesi In scienza e coscienza, il suo primo libro. L’abbiamo intervistata.

Dott.ssa Malara, dunque, già da metà gennaio l’OMS aveva dichiarato la pandemia da Coronavirus, la terza della storia dell’OMS, quindi voi avevate già notizia, cognizione del pericolo?

Sicuramente sapevamo dell’esistenza del virus e che in Cina stava determinando uno stato di emergenza sostanzialmente mai visto, ma per le conoscenze in nostro possesso in quel momento, si trattava di un virus che era limitato a quella zona geografica. Si pensava quindi fosse fisicamente lontano da noi e potesse essere sufficiente controllare gli arrivi dalla Cina per avere la situazione sotto controllo. Purtroppo la realtà è stata che in un mondo così globalizzato come il nostro, con turismo e commercio che sviluppano un grande traffico di cose e persone, rende praticamente impossibile isolarsi dal resto del mondo. Probabilmente questo fattore è stato sottovalutato.

Capisco, voi strutture sanitarie vi eravate in qualche modo preparati a un eventuale situazione come quella che poi si è verificata?

Non ci si aspettava un evento di portata simile, si contava di riuscire a individuare i casi di contagio e quindi isolarli andando poi a verificare tutti i contatti che le persone infette avevano intrattenuto.  Si tratta poi di quello che è stato fatto anche con il paziente 1, cui sono stati chiesti tutti i contatti avuti e gli spostamenti fatti, ma la situazione era così grave che è andata fuori controllo.

Cosa le ha fatto capire che questo caso di polmonite non era uno dei soliti, ma diverso dal normale, fra l’altro febbraio penso sia un mese caratteristico per questo tipo di malanni?

La cosa che mi ha colpito maggiormente è stata la rapidità di evoluzione di questa polmonite, il paziente era entrato in ospedale 24 ore prima e il processo flogistico mostrava uno stato iniziale ridotto. Ma dopo appena un giorno il progresso era inaudito, questo mi ha insospettito e portato a capire che c’era qualcosa di strano. L’altro fattore insolito era la fortissima congiuntivite che gli era sopravvenuta, questa assieme al rapidissimo aggravamento della polmonite mi ha fatto venire molti dubbi e ho deciso di indagare a 360°. Ho aggiunto la ricerca del coronavirus alle normali analisi che si fanno nei casi di polmonite, ho voluto mettere in atto un approccio diagnostico completo per un paziente giovane e in salute, ma affetto da una forma di polmonite così grave. 

Immagino che quando ha avuto la conferma della malattia da coronavirus, è stato come piombare in uno di quei film che vediamo spesso in televisione?

E’ stato un colpo durissimo, da subito si è capita la portata di una diagnosi del genere. Quello che si sarebbe sviluppato da quel momento in poi ci è stato chiaro subito, certamente non ci aspettavamo una diffusione del virus come poi è avvenuto. In quel momento pensavamo di essere di fronte al primo caso di contagio, speravamo quindi che fosse isolato. In breve abbiamo invece assistito a un moltiplicarsi di questi casi, nello stesso reparto di Codogno abbiamo individuato vari pazienti nell’arco di poche ore seguenti la scoperta del primo. Lì abbiamo avuto la sensazione di essere di fronte a qualcosa di molto più grande di quello stavamo vedendo in quel momento.

Immagino che ci sia stata anche una forte preoccupazione da parte vostra quando avete saputo che si trattava del coronavirus, allora non erano ancora in atto le misure eccezionali che sono poi state decise.

Per fortuna la latenza tra il momento che in rianimazione siamo entrati a contatto con questo malato e l’indossare tutti i dispositivi di protezione è stata brevissima. Dopo un’ora dall’arrivo del paziente il sospetto di qualcosa di essere di fronte a qualcosa di molto pericoloso ci è venuto subito. Abbiamo considerato tutte le ipotesi possibili, questo ci ha salvato dall’esposizione al contagio e tutto il personale della terapia intensiva ha evitato di ammalarsi.

Mi conceda una battuta, immagino non avrebbe mai pensato di diventare famosa per questa vicenda?

(risate) No, no, ho semplicemente fatto quello che penso sia il mio lavoro, quello che fa chi opera nella Sanità.

Da tutta questa esperienza ne viene anche un suo libro, che uscirà a ottobre se non sbaglio, ma mi auguro che continuerà a fare il medico egualmente.

(risate) Assolutamente sì, sono e rimango un medico. Mi hanno proposto di scrivere un libro, ho visto la possibilità, rara e importante, di dare voce a tutte le persone che sono state fondamentali in questa vicenda. Ci sono storie di persone eccezionali che hanno lavorato in maniera encomiabile, e meritano che si sappia quanta dedizione hanno messo nella loro opera. Esce a metà ottobre per Longanesi.

Anche essere al TEDx Bologna è stata una bella esperienza.

E’ stato emozionantissimo essere sul palco del TEDx, lo seguo da anni come spettatrice, è un’occasione unica per sentire persone eccezionali che ti mostrano una società diversa. Essermi trovata qui come speaker è stato incredibile, una scarica di adrenalina pazzesca.

[NdR – Si ringrazia l’Ufficio Stampa del TEDxBologna per la gentilissima disponibilità e collaborazione]

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