Piaghe d’America
Credo di aver sempre sopravvalutato gli Stati Uniti d’America. Affascinata dai film di John Wayne, dagli hamburger e dalla salsa bbq, stregata dai musical di Fred Astaire e dalle moine di Marilyn, non ho mai guardato molto oltre. Con il tempo ho capito che l’indiano cattivo a cui sparava John non era poi così tanto pessimo; cercava solo a modo suo di difendersi da bianchi usurpatori che volevano le sue terre. E lo faceva togliendo scalpi qua e là uccidendo coloni qua e là, in sostanza si difendeva come meglio sapeva, crudelmente perché in quell’epoca erano tutti così, vigeva la legge del più forte. A nulla però è servito e adesso il grande popolo dei nativi americani, spogliati di tutto, sopravvivono nelle riserve e si mascherano da Toro Seduto per la gioia dei turisti avidi di selfie.
Poi ho avuto la passione per i polizieschi e per quella polizia scientifica che dal ritrovamento di un’unghia risaliva al segno zodiacale del portiere dello stabile dove abitava la vittima. Mi sono nutrita di pistole e DNA fino alla nausea. Ma poi si è evidenziata la sottile linea di demarcatura tra l’uomo e la bestia; cioè nella vita vera è uscita fuori la furia di alcuni verso altri, l’odio mai sopito verso chi è diverso da loro. I bianchi contro i neri su tutto. Perché il razzismo esiste, non è cambiato solo perché è stato eletto Presidente un uomo di colore, esiste perché è l’odio per chi non è come noi, un fenomeno storico presente fin dall’epoca colonialista, perché ricordatevi che loro, specie al sud, sono cresciuti con pane e schiavi, con Mamie e frustate, cotone e sfruttamento. Hai voglia a declamare la Carta dei diritti, a fare film sul riscatto morale di alcuni bianchi. In America molto spesso ci si odia e basta; per differenza di etnia, perché tu sei portoricano e io cinese, perché sei di una Chiesa piuttosto che di un’altra. In fasce sociali al limite dell’analfabetismo si va ancora avanti a pregiudizio e fucile per ribadire le proprie ragioni.
Una delle piaghe americane, molto nascosta ai più è sicuramente quella dei poveri; sono tantissimi, non tollerati e non tutelati, vivono la loro condizione in uno stato psicologico spesso autolesionista. Elisabetta Grande – che insegna Sistemi giuridici Comparati all’Università del Piemonte Orientale – ha pubblicato nel 2017 un libro che, cifre alla mano, ha affrontato storie personali e testimoniato come la povertà negli USA sia un fenomeno in grande crescita. “Nel Paese dove vive il 41% delle persone più ricche dell’intero pianeta, 1/3 della popolazione (105.303.000 di persone) fa fatica a far fronte ai bisogni essenziali”; questo risulta e questa è la verità.
L’autrice sostiene che negli anni ‘70 è cominciata questa deriva, causata dalla crisi delle industrie manifatturiere che hanno messo in ginocchio molte grandi città ma che non ci sono stati ammortizzatori per tutte queste persone che un po’ alla volta, perdendo il lavoro, hanno poi perso tutto. Il libro Guai ai poveri. La faccia triste dell’America racconta tutto questo; un vero dramma, la realtà deprimente del declino di una grande nazione, quella alla quale, giovanetta, guardavo come esempio da seguire, un posto dove tutto era possibile. Una volta, forse. Ora non più.
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