Cronache dai Palazzi

La manovra finanziaria per il 2021 presenta un conto decisamente salato: 40 miliardi di euro, dei quali più della metà, circa 22 miliardi, saranno coperti con un surplus di deficit dopo un indebitamento cresciuto già di 100 miliardi nel 2020. Il governo ha presto abbandonato l’idea di una manovra che si autofinanziasse, come ipotizzato all’inizio dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, idea però ben presto abbandonata dato l’andamento non rassicurante del debito pubblico. Palazzo Chigi ha inoltre reso noto che la manovra subirà dei condizionamenti a causa dell’emergenza da Coronavirus.

Nei prossimi giorni il Consiglio dei ministri approverà nello specifico la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, la cosiddetta Nadef, per definire il quadro finanziario relativo alla manovra per il 2021 che l’esecutivo approverà a metà ottobre. Secondo la Nadef il Prodotto interno lordo passerebbe da un -9% del 2020 a un +6% nel 2021. Il deficit inoltre calerebbe dal 10,8% del Pil al 7%, e il debito, che ora sfiora il 160%, diminuirebbe di poco nel 2021, fino al 152% nel 2023.

Tagliare le tasse sembra essere la prima promessa ma non c’è accordo sulle modalità da adottare. Sono previsti inoltre interventi straordinari conseguenti alla pandemia, come la proroga degli ammortizzatori sociali nei settori più colpiti dalla crisi fino al potenziamento delle spese sanitarie. Ed ancora si pensa a come finanziare le misure per il rilancio dell’economia, partendo dai sostegni per l’innovazione 4.0 delle imprese e la decontribuzione triennale per agevolare le assunzioni dei giovani under 35 e delle donne.

Solo la metà dei suddetti 40 miliardi potrà comunque essere finanziata con risparmi di spese tra cui la razionalizzazione delle misure dedicate alle famiglie quali detrazioni, bonus e deduzioni, misure sostituite con l’assegno unico per ogni figlio; e poi la cosiddetta tax expenditure a partire dalle agevolazioni per attività che inquinano, sul quale argomento non è stata però ancora trovata una soluzione. Inoltre i 209 miliardi (tra prestiti e trasferimenti) in arrivo dall’Ue grazie al programma Next generation Eu dovrebbero giungere a destinazione solo nella seconda parte del 2021.

Per quanto riguarda il taglio delle tasse il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri propone da tempo il modello tedesco, che eliminerebbe a mano a mano gli scaglioni per fasce di reddito sostituendoli con un’aliquota continua che aumenterebbe di pari passo al reddito stesso. Il modello tedesco sarebbe sostenuto da Leu che con il sottosegretario Maria Cecilia Guerra lo aveva già proposto circa un anno fa. Mentre Italia Viva vorrebbe abbassare le aliquote rivedendo gli scaglioni ed eliminando molte delle agevolazioni fiscali tranne quelle su sanità, prima casa e previdenza. Il partito di Matteo Renzi sembra essere contrario al modello tedesco “perché si basa su una ingiustificata ossessione per la progressività. E perché è poco trasparente”, spiega il presidente della Commissione Finanze della Camera, Luigi Marattin (IV), definendo l’attuale sistema fiscale “troppo progressivo proprio nei punti in cui non dovrebbe esserlo, e cioè sui redditi medio bassi”. Marattin, responsabile economico di Italia Viva, sottolinea che “il sistema fiscale è il cuore del contratto sociale”, e puntualizza che il sistema attuale “disincentiva a lavorare”. Secondo quanto afferma Luigi Marattin la controproposta di Italia Viva si riassume così: “Azzerare il sistema e ripartire da capo. Prima di tutto con un reddito minimo esente di 8 mila euro sul quale paghi tasse zero a prescindere dal reddito. Poi via tutte le agevolazioni fiscali, tranne quelle socialmente sensibili, come sanità, contributi previdenziali e mutuo prima casa”. Ed ancora “l’assegno unico per i figli che assorbe per tutti gli strumenti di sostegno alla natalità. E poi tre sole aliquote”. Anche il Movimento Cinque Stelle non sembra condividere il modello tedesco suggerendo di rivedere e magari accorpare gli scaglioni.

Il capitolo fisco sarebbe comunque escluso dai fondi del Recovery plan e quindi le risorse a disposizione non supererebbero i dieci miliardi. Altri due miliardi servirebbero invece per la decurtazione delle tasse sul lavoro per i redditi tra i 28 e 40 mila euro, mentre altri sei miliardi saranno destinati all’assegno unico per i figli che per essere messo a regime necessita di ben dieci miliardi. In sostanza l’abbassamento delle tasse dovrebbe essere una delle priorità della seconda parte della legislatura.

Con il Recovery fund il ministro Gualtieri annuncia una crescita strutturale dello 0,2-0,5% l’anno “a seconda dell’efficienza ipotizzata della relativa spesa aggiuntiva”. Il  ministro dell’Economia ha illustrato alle commissioni Bilancio e Politiche Ue del Senato il Piano di ripresa e resilienza nazionale spiegando che ci saranno “due manovre espansive”, e successivamente il ritorno del deficit al di sotto del 3% dopo il 2023.

In definitiva il piano dell’esecutivo mira ad intervenire nella Pubblica amministrazione, nel campo della ricerca e sul fisco con il taglio del cuneo fiscale sul lavoro, la revisione graduale della tassazione e la lotta all’evasione; ed infine è prevista una sostanziale revisione degli incentivi ambientali e delle misure per sostenere le famiglie.

Sul fronte europeo è invece in corso l’accordo sul prossimo bilancio Ue 2021-2027: “un confronto tra il Parlamento e il Consiglio”, come ha puntualizzato il presidente dell’europarlamento David Sassoli specificando di non poter risolvere i problemi del Consiglio, all’interno del quale gli Stati membri risultano spaccati sul legame tra accesso ai fondi Ue e il rispetto dello Stato di diritto. Ungheria e Polonia vogliono separare le due cose, tantoché il presidente ungherese Viktor Mihály Orbán ha proposto accordi bilaterali per il Recovery fund che procedano “fuori dal quadro Ue” per non “ritardare” l’erogazione delle risorse Ue, continuando nel frattempo a discutere del bilancio Ue. “L’Europa è in crisi e dobbiamo trovare una soluzione – ha affermato Orbán -. Non si può consentire ai dibattiti sullo Stato di diritto di rallentare l’istituzione del fondo di emergenza”. Anche i quattro Paesi cosiddetti “frugali” (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) chiedono più rigore insieme alla Finlandia.

Per l’Italia, a sua volta, è essenziale “lavorare speditamente” per raggiungere un accordo, come ha anche ribadito il premier Conte in un videomessaggio all’ambasciata tedesca: “Tutti gli Stati membri devono lavorare con coerenza e lealtà”.

Se l’intesa non sarà raggiunta entro fine mese, molto probabilmente la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali non arriverà in tempo per permettere di avere a disposizione i fondi del Recovery fund già nel primo semestre del 2021, con il rischio di dover ricorrere a quelli del Mes, a proposito del quale si avvertono, come è noto, voci contrapposte tra le diverse forze politiche. In sostanza i nodi da sciogliere con il Parlamento europeo riguarderebbero il rispetto dello Stato di diritto, le nuove risorse con cui finanziare il Recovery fund e un eventuale rafforzamento di alcuni programmi europei.

Focalizzandosi sul nostro Paese, a proposito di occupazione l’Istat mette in evidenza un segno positivo davanti alla percentuale degli occupati registrando un +0,4% rispetto al mese di luglio, che corrisponderebbe a circa 83 mila nuovi assunti. Una “lieve risalita che è certamente una boccata di ossigeno”, spiega la Cgil, ma che di certo non basta, dato che sono circa 425 mila i posti di lavoro persi rispetto all’agosto di un anno fa (-1,8%). Sono lievemente aumentati i contratti stabili (+0,9%) ma nel contempo è stato rilevato un drastico calo dei contratti a termine (-14% in un anno). In salita il tasso di disoccupazione giovanile (32,1%) che la Cgil reputa un “dato allarmante” tanto da reclamare, ancora una volta, “investimenti per far crescere l’occupazione, innalzare i livelli di competenze, favorire l’inclusione sociale”. Diminuiscono infine gli inattivi, sia uomini che donne (meno 0,5% rispetto a luglio 2020), un dato incoraggiante anche se minimo, che denota un maggior numero di persone alla ricerca di un lavoro.

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