Camera di Consiglio
RIDUZIONE AL CONTRIBUTO AL MANTENIMENTO DELLA MOGLIE, SEBBENE DEBBA PAGARE UN CANONE DI LOCAZIONE – La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 19078 del 14 settembre scorso, rigettava il ricorso di una moglie separata che chiedeva l’aumento dell’assegno di mantenimento per sé e per il figli.
Il tutto nasce da un ricorso promosso dalla Signora avanti alla Corte d’Appello di Potenza, la quale aveva posto a carico del padre la corresponsione di un assegno di mantenimento pari alla somma di euro 600,00, così riducendolo rispetto alla somma di Euro 850,00 decisa dal Tribunale.
Non digerendo la decisione in Secondo Grado di Giudizio, la Signora proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di tre motivi. In primis, la moglie assumeva che la Corte d’Appello avesse preso in considerazione, erroneamente, la detrazione in busta paga del marito di Euro 290,00, il quale aveva acceso un finanziamento, ma non per motivi legati alle esigenze familiari. In secundis, la ricorrente sosteneva che il Giudice di secondo Grado non avesse verificato la vera situazione patrimoniale e reddituale del marito, nonché della disparità economica tra i coniugi: invero, ella sosteneva che il marito, dipendente pubblico, beneficiasse di straordinari e turni nei giorni festivi che non comparivano in busta paga. E mentre costui poteva godere di una abitazione stabile, sebbene si trattasse di un alloggio ATER, la ricorrente si era vista costretta a prendere in locazione un appartamento per sé ed i figli, dovendo sostenere, altresì, le spese del canone. Con l’ultimo motivo, la donna lamentava che alla stessa fosse stato negato l’alloggio familiare, mentre il marito poteva godere di un canone agevolato.
Orbene, secondo la Cassazione i motivi dedotti dalla donna erano inammissibili ed in parte infondati per le ragioni che seguiranno. Il primo motivo era ritenuto infondato: la Corte d’Appello aveva considerato la detrazione sulle buste paga del marito e non era incorsa nel c.d. “vizio di ultrapetizione”, il quale consiste nel dovere di non oltre (o fuori) i limiti della domanda, in virtù della necessaria applicazione del principio della corrispondenza fra quanto richiesto e quanto deciso.
Circa gli altri motivi, esaminati insieme, in quanto collegati, afferenti alla errata ricostruzione del patrimonio del marito e della disparità economica tra i coniugi, la Corte affermava che in secondo grado con idonea motivazione erano stati esaminati i fatti allegati dal marito il quale richiedeva o riduzione del contributo al mantenimento in favore della ex moglie e dei figli, così riducendo l’assegno dopo aver giustamente vagliato i documenti messi a disposizione. Infatti, le contestazioni relative alla veridicità dei dati riportati nelle buste paga non sono sindacabili di fronte alla Suprema Corte.
Né veniva considerata decisiva la questione del canone di locazione che la ricorrente è costretta a pagare e che la porrebbe in uno stato di svantaggio rispetto al marito: secondo la Cassazione, infatti, “l’omesso esame di elementi istruttori (in tesi il contratto di locazione, che viene in ogni caso menzionato nella sentenza impugnata nell’illustrazione del decisum di primo grado) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie la differenza di reddito tra le parti), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.
Non sempre, infatti, i criteri di valutazione per il computo del mantenimento a carico del marito a beneficio di moglie e figli possono essere soggetti a revisione. Ed è sempre necessario, dopo l’intervento delle Sezioni Unite nel 2018, rispettare le effettive possibilità del marito, essendo, di fatto, mutato il contesto economico e sociale rispetto al passato.
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