La dignità di un politico
I cinque film della serie dedicata a Peppone e Don Camillo, con protagonisti Gino Cervi e Fernandel, rappresentano non solo pagine meravigliose di un’epoca d’oro del cinema italiano, ma anche spaccati di vita di un’Italia viva, che si stava riprendendo dal disastro bellico ed iniziava a prepararsi per il successivo boom. La quotidiana leale guerra che combattevano nel loro piccolo quotidiano i due protagonisti, e ben descritta da Guareschi, è uno specchio di quanto avveniva all’epoca tra i due schieramenti politici che caratterizzavano anche i rispettivi modi di vivere dell’italiano medio. Di tutte le scene ve ne è una che dovrebbe essere rivista ed applicata oggi dai leader politici che, ancora una volta, dopo l’esito delle ultime elezioni, dimostrano di avere una concezione del loro ruolo che ha poco a vedere con quello che realmente dovrebbe essere.
Nel primo film della serie, diretto da Julien Duvivier, subito dopo la sua elezione a sindaco, Peppone si reca con il suo gruppo di fedelissimi dalla vecchia maestra in pensione del paese per chiedere quelle lezioni di italiano a cui da bambini non avevano potuto assistere perché chiamati a lavorare nei campi. Un esempio di dignità personale e di rispetto dei propri elettori che ben possiamo credere sia avvenuto realmente da parte di qualcuno chiamato in quelle elezioni, ed in alcune successive, a cariche pubbliche e di responsabilità. Dover rendere conto al proprio elettorato di quanto stavano facendo era un esame da affrontare.
Allo stesso modo gesti di dignità sono quelli di chi dopo essere sconfitto in un’elezione si dimette dal proprio incarico: che sia di governo o che sia di partito, specialmente se fosse il segretario politico o comunque il leader delle scelte politiche. Valga per tutti l’esempio dei candidati alle presidenziali americane; tranne per il caso di Richard Nixon, che rappresenta forse un’eccezione che può confermare la regola, nessuno sconfitto si è presentato per chiedere una seconda chance dopo aver fallito la prima. Chi si ricorda di Michael Dukakis sconfitto da Bush Padre? John Major, successore di Margareth Thatcher alla guida del governo inglese e del partito Conservatore si ritirò dopo la sconfitta elettorale del 1997 che portarono alla guida della Gran Bretagna Tony Blair. Purtroppo in Italia sembra che entrambe queste lezioni non vengano ascoltate e all’ignoranza di base di molti candidati ed eletti, si aggiunge l’ostinato attaccamento alle poltrone del potere che contribuiscono a far disamorare l’elettorato, allontanarlo dalla politica con conseguenze sull’essenza stessa della democrazia.
Sul web spopolano le immagini dei nostri politici riportando le loro frasi con cui garantivano che si sarebbero ritirati in caso di sconfitta; che non si sarebbero mai alleati con un determinato partito, che avrebbero tolto le accise sulla benzina e chiuso i porti e così via, fino all’ultima recente. Dopo il crollo verticale dei Cinque Stelle, i leader del movimento avrebbero dovuto avere il decoro di dimettersi da incarichi di governo e istituzionali prendendo atto di non rappresentare più neppure chi aveva riposto fiducia in loro.
Vi sono stati anche in Italia casi di dimissioni, ad iniziare da quelle di Giovanni Leone, travolto da una campagna mediatica che portò successivamente i suoi detrattori a scusarsi; quelle di Cossiga dalla carica di ministro degli interni dopo l’assassinio di Aldo Moro, ma in tempi recenti nessuno ha seguito questi esempi e dell’ignoranza, purtroppo, se ne è fatto spesso motivo di orgoglio per contrapporla alla disonestà di altri. Probabilmente, in alcune ipotesi potrebbe essere vero; ma la competenza, le capacità e l’autorevolezza sono ben altro. E per averle, una buona preparazione sui banchi di scuola è quantomeno opportuna. Aiuta anche a mantenere le promesse.
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