IA, la scuola per la saggezza digitale
In tema di Intelligenza Artificiale è vero che occorre rafforzare il quadro normativo per renderla affidabile, com’è altrettanto vero che occorre una maggior conoscenza e padronanza nell’utilizzo delle “grandi piattaforme”, ma, soprattutto, quello che occorre è di saper fare in modo che non divengano mai automatizzati i principi che ispirano l’utilizzo e la gestione dell’automatizzazione dei processi e dei passaggi di produzione e non solo che sarà reso possibile con l’utilizzo dell’IA.
Occorre che i luoghi per antonomasia deputati all’educazione delle giovani generazione, come le strutture educative e scolastiche facciano in modo di educare alla saggezza digitale. La tecnologia, gli algoritmi sono strumenti, mezzi al servizio dell’uomo e non viceversa.
E dev’essere sempre un “essere umano a decidere come usare la tecnologia e non un algoritmo”. Infatti gli algoritmi assimilano e acquisiscono i contenuti che trasferiscono gli uomini compresi i pregiudizi e gli errori propri degli esseri umani, le mancanze morali o le eccellenze intellettuali. Si potrà automatizzare tutto , ma non i principi alla base dell’agire.
Si tratta di strumenti che assorbiranno i contenuti che vi trasferiranno gli uomini, saranno utilizzati dagli uomini e da questi dipenderà l’utilizzo, positivo o negativo, che se ne farà. I tempi che stiamo vivendo sono quelli “dell’informatica generativa” in cui “il codice trasforma il senso e il luogo, modifica la nostra esperienza del tempo e produce nuove forme di vita artificiale”.
Da questo mutamento nell’approccio all’informatica e all’Intelligenza Artificiale, una vera e propria rivoluzione, metamorfosi socioculturale scaturiranno necessitatamene nuove “interpellazioni etiche e antropologiche”. Il contesto di forte trasformazione tecnologica e digitale si accompagna a una Società moderna, quale quella contemporanea, che diventa ogni giorno di più una “Società della conoscenza”, in cui la conoscenza e il sapere sono considerati un vero e proprio “capitale”.
Una conoscenza con cui occorre “imparare a lavorare”, sia acquisendo nuove conoscenze sia nuove competenze trasversali, come ad esempio il pensiero critico, la creatività, la comunicazione e la collaborazione. Le nuove tecnologie, la digitalizzazione, la robotica, la connettività, la realtà aumentata, piattaforme on line, big data, la I.A. se ben usate possono garantire condizioni e livelli di vita, di benessere sociale diffuso, di qualità di vita e di lavoro di gran lunga migliori. Possono supportare la collaborazione, la costruzione di conoscenza e la produzione di nuove idee. Ma ugualmente rilevanti sono i possibili rischi e pericoli come i fattori di rischio psicosociale e l’incremento di tecnopatie che mettono in pericolo la salute mentale ed equilibrio psicologico delle persone.
In questa profonda e radicale metamorfosi e fondamentale che si utilizzino, nei luoghi deputati per eccellenza all’istruzione e all’educazione, come stavamo dicendo, dei modelli pedagogici che si avvalgano delle tecnologie per realizzare una “didattica di tipo attivo” che riescano a produrre quella che per Prensky è la “Saggezza digitale”: “la capacità di sfruttare le tecnologie per ampliare le proprie competenze, accedendo al mondo della conoscenza in maniera critica e creativa”.
Un approccio all’apprendimento che diventa “trialogico”, che prevede, cioè, un uso delle tecnologie attivo, per “costruire collaborativamente artefatti concreti e cognitivi”. Donatella Cesareni, del Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione della Sapienza, Università di Roma, “non è più questione tra chi è nativo digitale e chi non lo è, ma tra la stupidità digitale, il far male a se stessi e agli altri attraverso la tecnologia, e la saggezza digitale, la capacità di usare la tecnologia per potenziare le proprie capacità sensoriali e cognitive fondamentali per collaborare con gli altri. Il compito della scuola è implementare la saggezza digitale”. La scuola deve rivedere, così, le strategie didattiche e far in modo che la rivoluzione culturale sia un vantaggio per le nuove generazioni e non un fattore di rischio. Il momento delle lezioni in aula è importante, ma non è la sola “tecnica didattica”, si deve rivedere l’uso che si fa delle applicazioni.
Per la Cesareni la “tecnologia è uno strumento che favorisce le collaborazioni. L’apprendimento è un processo attivo che avviene all’interno di una relazione”. Con la tecnologia si hanno a disposizione strumenti flessibili che supportano la collaborazione, appunto, il coordinamento del gruppo e il senso di comunità. “Si allarga lo spazio dialogico della comunità mettendo in comunicazione le classi scolastiche con gli altri studenti al di fuori di esse o con il mondo del web e i contenuti digitali”.
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