Roma, ACEA e acqua pubblica
Il referendum del 2011 ha confermato che l’acqua, sia superficiale che del sottosuolo, così come le reti infrastrutturali idriche e fognarie, sono beni comuni, quindi non privatizzabili, ma non ha reso illegittimo che possano essere private le attività di produzione e consumo con le quali l’acqua viene, captata, potabilizzata, addotta, distribuita, e restituita al suolo attraverso scarichi, depuratori e sistemi fognari, operazioni che nel loro complesso vanno sotto il nome di Servizio Idrico Integrato (SII). Necessariamente privato è poi l’impiego dell’acqua distribuita, che viene così ad essere una “merce”. Una merce che però deve essere scambiata a prezzi amministrati, non a prezzi di mercato, perché trattasi di un bene di prima necessità e di disponibilità limitata. L’ultimo dispositivo di legge, per l’amministrazione del prezzo dell’acqua distribuita, ne assegna la giurisdizione all’AEEG, con il compito anche di vigilare sull’applicazione delle “tariffe” da parte degli insiemi di comuni che sono raggruppati in ambiti territoriali denominati ATO.
Secondo alcuni, in particolare fra i promotori del referendum, l’assetto giuridico esistente non soddisfa l’esito del voto referendario. Collegate a tale questione sono state le prese di posizione, in occasione dell’abortito primo decreto “Salva Roma”, circa l’opportunità o meno che Roma Capitale, per contribuire al miglioramento della sua situazione patrimoniale, venda il 21% delle azioni di ACEA in suo possesso, passando dal 51% al 30%. Una operazione già tentata senza successo dalla precedente giunta comunale. E’ condivisibile l’affermazione del sindaco Marino secondo il quale l’acqua dei romani resta pubblica grazie alla proprietà comunale della maggioranza delle azioni del gruppo possessore del gestore del SII, l‘ACEA appunto? Ad un approfondimento della questione appare come tale affermazione non sia condivisibile. Vediamo perché.
Il gruppo ACEA ha, fra le aziende possedute, quella che gestisce il SII di un territorio sostanzialmente coincidente con la provincia di ROMA, la ATO 2 S.p.A., e quella che gestisce il SII della provincia di Frosinone, la ATO 5 S.p.A. Ulteriori attività nel settore idrico sono posseduta da ACEA in altre aree, la maggior parte italiane ma alcune anche estere. Le tariffe del servizio idrico prestato da ATO 2 S.p.A. vengono stabilite dallo stesso comune di Roma, che ha la maggioranza nell’ATO, mentre sono stabilite da altri ove operano ATO 5 S.p.A. e le altre attività.
Questi i dati economici sull’attività idrica di ACEA nel 2011 (ultimo bilancio disponibile alla data in cui svolsi l’analisi della materia): Ricavi ATO 2 S.p.A. 459 m € pari al 13% del totale Gruppo, contro 759 m (21,5% del totale Gruppo) del totale ricavi del settore idrico; Risultato operativo (EBIT) di ATO 2 S.p.A. = 105 m €; 23% dei ricavi; 47% dell’EBIT totale del gruppo; Risultato operativo (EBIT) del restante idrico = 47 m €; 16% dei ricavi; 21% dell’EBIT totale del gruppo; Dividendi ATO 2 S.p.A. da risultato 2011 = 48 m, pari al 99,9% del risultato netto di esercizio; Dividendi ACEA da risultato 2011 = 59,5 m, pari al 55% del risultato netto di esercizio; Contributo di ATO sui dividendi distribuiti dal gruppo ACEA = 81%. (48/59,5).
Questi dati ci raccontano alcuni fatti. ATO 2 S.p.A. sorregge la redditività dell’intera ACEA, pur rappresentandone appena il 13% del fatturato. La brillante redditività di ATO 2 S.p.A. si regge sul conflitto di interessi di Roma Capitale nelle sue due qualità di Azionista del gruppo che possiede i gestore del suo SII, e di fornitore di servizi agli abitanti amministrati. Come azionista del gruppo e percettore di dividendi, ha bisogno di tariffe che diano profitti ad ATO 2 S.p.A.; come rappresentante degli interessi dei cittadini che amministra, dovrebbe rendere minimo il rapporto prezzo/qualità del servizio, riducendo i profitti di ATO 2 S.p.A. Il bilancio di quest’ultima evidenzia che fra i due interessi Roma Capitale privilegia quello dell’azionista. Ciò può spiegare la scarsa opinione che la cittadinanza sembra avere della qualità del SII, in rapporto alle tariffe che le vengono imposte. Attraverso la sua politica tariffaria e quella di dividendo di ACEA, il comune di Roma sottrae ogni anno agli abitanti del territorio milioni di € per consegnarli agli azionisti privati di ACEA. Roma Capitale, nella qualità di Comune leader dell’assemblea dei sindaci dell’ATO 2, committenti del contratto di servizio per la gestione del SII, in conflitto di interesse con il suo ruolo di azionista di controllo del gestore concessionario dello stesso SII, danneggia gli abitanti degli altri comuni della provincia.
La prima conclusione da trarre è che, con l’attuale politica tariffaria e di dividendi, non sono tollerabili, nella proprietà di ATO 2 S.p.A., né la presenza di soci privati né l’assenza degli altri comuni. Sottostante all’affermazione del sindaco Marino c’è dunque un completo equivoco: il fatto che il Comune di Roma abbia la maggioranza di ACEA, società quotata della quale lo stesso comune ha la responsabilità nei confronti degli azionisti privati, penalizza, anziché favorire gli utenti del SII.
Dall’esempio di Roma si evince dunque che la proprietà pubblica del gestore del SII può funzionare solo se tutti i comuni del territorio servito vi partecipano e solo se essi detengono l’intera proprietà del gestore.
L’alternativa di gestione del SII da parte di imprese private è consentita dalla normativa esistente ed è compatibile con l’esito referendario? Cioè sono compatibili acqua pubblica e gestore privato del SII? La riposta dovrebbe essere si, ma a patto che esistano condizioni di accesso al contratto di servizio di più operatori in regime di concorrenza. Non è sembra però che questo sia il caso dell’ATO 2, a causa del tipo di contratto di servizio esistente. Innanzitutto per la sua durata: trentennale. Poi per la forza contrattuale che deriva al gestore ATO 2 S.p.A. dal fatto che ad essa compete non solo realizzare gli investimenti, ma anche negoziarli e finanziarli. In questo caso sembrano esservi condizioni non di concorrenza, bensì di monopolio, sia pur locale, che giustificherebbero l’applicazione dell’art. 43 della Costituzione.
Condizioni concorrenziali possono essere realizzate con contratti di servizi diversi da quello dell’ATO 2. Cioè contratti di durata più breve e dai quali sia esclusa la realizzazione degli investimenti, che dovrebbero essere decisi in via indipendente dall’ATO committente e dallo stesso appaltati mediante gara. Con questa forma di gestione privata si otterrebbero probabilmente i migliori risultati in quanto ad economicità del servizio e manutenzione, e ammodernamento, delle infrastrutture, e la responsabilità dei sindaci sui risultati sarebbe più evidente.
Per concludere, l’intento del sindaco di rendere (non mantenere perché oggi non lo è) pubblica l’acqua sembra giustificato. Ma per realizzarlo dovrebbe portare ATO 2 S.p.A. fuori da ACEA e renderla azienda speciale consortile ai sensi dell’art. 31 del TUEL, appartenente cioè a tutti i comuni serviti, e non solo a quello di Roma. Un strada che non sembra praticabile con ACEA quotata in borsa. Il delisting di ACEA, anche se può comportare un forte impegno finanziario, ma solo temporaneo, è probabilmente l’unico modo per porre termine a tariffe esose e contestuale degrado dell’infrastruttura idrica. E’ pur vero che per attuarlo occorre il consenso dei maggiori azionisti privati di ACEA e degli altri comuni della provincia, ambedue non ottenibili in tempi brevi. Ma poiché, per fortuna, l’attuale giunta si è appena insediata, sono tempi che potrebbero essere compatibili con la durata dell’attuale consiliatura, se si decidesse ora di rendere a Roma l’acqua davvero pubblica.
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