La guerriglia senza fine
La guerriglia di Trump e dei suoi sicofanti per annullare l’elezione di Joe Biden sembra non finire mai, nonostante la serie di insuccessi registrati tanto a livello giudiziario quanto a quello politico.
Un Giudice federale dopo l’altro (la maggioranza è di nomina repubblicana) ha respinto le richieste dei suoi legali. Nel farlo, alcuni giudici hanno usato parole durissime e talvolta sprezzanti per la completa mancanza di argomenti e di prove (un giudice in Pennsylvania ha definito la presentazione dei legali trumpiani “un mostro di Frankenstein”). Ma il peggio è che uno Stato dopo l’altro sta certificando il risultato con la vittoria di Biden: ultimi in ordine di tempo la Pennsylvania, il Michigan e il Wisconsin, Stati-chiave per assicurare al Presidente-eletto un margine largo di voti nel collegio elettorale, ciò nonostante le pressioni senza precedenti esercitate da Trump su governatori, parlamentari e funzionari repubblicani responsabili per sovvertire il risultato. Molti eletti repubblicani si sono rifiutati pubblicamente e con parole anche dure di farlo, scatenando l’ira e i furibondi attacchi del Presidente. Fanatici trumpiani ora hanno tirato fuori la strabiliante teoria di un complotto tra governi stranieri ed esponenti democratici! C’è evidentemente gente a cui la passione politica ha fatto perdere, non solo la ragione, la decenza e il rispetto della verità, ma anche il senso elementare della vergogna.
Qualche ultimo ricorso legale resta ancora aperto per Trump, soprattutto un estremo ricorso alla Corte Suprema, che però dovrebbe innanzitutto decidere se accettare il caso. I tempi si stanno accorciando, perché l’8 dicembre è il termine massimo per chiudere ogni controversia sulle elezioni e il 14 dicembre dovrà riunirsi il collegio elettorale per indicare il vincitore (proprio così, come se i 6 milioni di voti popolari in più andati al candidato democratico non bastassero). La tappa successiva, la ratifica del Congresso non dovrebbe presentare dubbi, data la maggioranza complessiva dei Democratici.
Nelle ultime ore, l’Attorney General (Ministro della Giustizia) William Barr, ha dichiarato all’Associated Press che né il Ministero né l’FBI avevano finora scoperto “alcuna frode su larga scala che possa cambiare il risultato dell’elezione”. Tanto per intenderci, Barr era uno dei più fedeli alleati di Trump, intervenuto alle volte indebitamente nel funzionamento della Giustizia per favorirlo (come nel caso dell’impeachment, dove si era attirato forti critiche del Congresso), ed è lui che aveva ordinato al Ministero e all’FBI di indagare sulle elezioni. La sua ammissione è dunque caduta come una bomba sui residui sforzi di Trump per sovvertire l’esito elettorale. Il disgustoso Giuliani si è affrettato a dichiarare che Barr “parla di cose che non sa”. Non c’è davvero limite all’indecenza! Aspettiamoci che Barr sia ascritto anche lui alla assurda cospirazione contro Trump che secondo qualche fanatico paranoide includerebbe ormai mezzo mondo. Intanto, esponenti repubblicani della Georgia hanno violentemente denunciato il clima di violenza e di minacce che si è creato contro quelli che stanno facendo semplicemente il loro dovere di certificare la verità, e hanno chiesto pubblicamente a Trump di unirsi alla condanna. Difficile che questo dimostrato autocrate condanni un clima che egli stesso ha creato e continua ad alimentare.
Perché Trump insiste nel dare questo indegno spettacolo? Stiamo assistendo a un paranoico morbosamente aggrappato al potere e alla propria immagine di invincibilità e pronto a credere alle proprie menzogne? Certo, però c’è di più: il perverso disegno di consolidare in una parte non indifferente di elettori repubblicani la favola della “vittoria rubata” e delegittimare il futuro Presidente, anche se questo arreca un danno gravissimo alla credibilità del sistema democratico e istituzionale (ma a Trump non importa assolutamente nulla, come ha dimostrato in questi quattro anni).
Intanto, Joe Biden va avanti con compostezza, ignorando ogni polemica, scegliendo i futuri Ministri e i più diretti collaboratori e ricevendo ora tutti i “briefing” ufficiali riservati all’eletto. È stata anche avviata la preparazione della sua “inauguration”, che sarà stavolta tenuta in tono sobrio e in modo da ridurre il più possibile i rischi di disseminare il contagio da virus. Si può star certi che Trump cercherà di guastare anche questa festa tradizionale della democrazia, alla quale è improbabile che partecipi.
Gli alleati europei e asiatici sentono di aver ritrovato un leader che non risolverà certo tutti i problemi (nessuno ha la bacchetta magica) ma almeno li affronterà con serenità e buon senso.
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