Brexit, a che punto siamo

La data finale stabilita del 13 dicembre non ha visto risultati nel negoziato, e di comune accordo tra le parti è stata prorogata. Dovendo una eventuale firma passare poi alla ratifica dei parlamenti, sia quello europeo che i nazionali (la Vallonia ha già annunciato voto contrario), i tempi paiono comunque strettissimi. Il Primo Ministro Boris Johnson e il Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta: ”I nostri team negoziali hanno lavorato giorno e notte negli ultimi giorni. E nonostante la stanchezza dopo quasi un anno di colloqui, nonostante il fatto che le scadenze siano state oltrepassate più e più volte, pensiamo che a questo punto sia responsabile andare ai tempi supplementari”.

A ottobre ancora si sperava in un accordo, anche se il passare dei mesi senza passi in avanti non era un buon auspicio. Durante la relazione al Parlamento sui risultati del vertice del 15-16 ottobre, rispetto al tema della Brexit il presidente del Consiglio europeo Charles Michel aveva che la UE era favorevole a stabilire uno stretto rapporto con il Regno Unito, ma non alle condizioni chieste dal Regno Unito. Boris Johnson vorrebbe l’accesso al mercato unico, ma al tempo stesso discostarsi dai principi e dai regolamenti europei. Il capo negoziatore europeo Michel Barnier aveva più volte ribadito la volontà della UE di portare avanti un accordo reciprocamente vantaggioso, dichiarando: “Lo spirito dell’Unione europea verso questi negoziati non è mai cambiato e non cambierà mai fino all’ultimo giorno, e neanche allora. Rimarremo calmi, costruttivi e rispettosi ma rimarremo anche decisi e determinati quando si tratta di difendere i principi e gli interessi di ciascun stato membro e della stessa Unione europea”.

I punti critici su cui i negoziati stanno fallendo sono sempre gli stessi, il livello di standard lavorativo e ambientale cui il Regno Unito dovrebbe aggiornarsi parallelamente alla UE; questo per impedire forme di concorrenza sleale. Poi la governance e la figura che dovrebbe risolvere e decidere in merito a eventuali contenziosi tra le due parti. Infine, e questo parrebbe il minore dei mali vista la posta in gioco, ma si sta rivelando invece un problema insuperabile, la pesca. L’accordo pare essersi bloccato principalmente proprio nella piccola cittadina scozzese di pescatori di Peterhead, divenuta simbolo del no deal. Il settore pesca conta per il Regno Unito appena 0,1% del Pil, ma dal maggiore porto per la pesca in Europa, passano quasi 230 milioni di euro in pesci, il 60% del totale UK.

Di seguito le misure preparate dall’Europa in caso di una Brexit senza accordo: Per sette mesi dopo il ritiro, le compagnie aeree britanniche potranno continuare a fornire i loro servizi nei paesi UE a patto che le compagnie aeree europee possano a loro volta fare altrettanto nel Regno Unito. Il Regno Unito ha ricevuto un’estensione della data del ritiro, per questo l’UE ha presentato una proposta per l’estensione delle misure di emergenza. La validità delle autorizzazioni per la sicurezza ferroviaria dovrebbe essere estesa per garantire la continuità dei servizi ferroviari tra il Regno Unito e l’UE, a patto che sia riconosciuto lo stesso anche per l’UE. Il trasporto merci e gli operatori di trasporto su bus britannici potranno garantire la continuità del servizio tra il Regno Unito e l’Europa nel caso in cui anche le compagnie europee possano godere di un simile trattamento. I cittadini britannici potranno viaggiare in Europa senza bisogno di un visto a patto che i cittadini europei godano dello stesso trattamento quando viaggiano verso il Regno Unito. I cittadini europei che vivono nel Regno Unito e i cittadini britannici che vivono in Europa potranno godere delle prestazioni di previdenza sociale acquisite prima dell’uscita. Per quanto riguarda Erasmus+, gli studenti e i docenti nel o dal Regno Unito potranno terminare il loro percorso di formazione all’estero così come previsto dal programma Erasmus+. I finanziamenti per i programmi bilaterali di pace in Irlanda del Nord continueranno almeno fino al 2020. Lo scopo è quello di portare avanti il processo di pace e di riconciliazione avviato dall’Accordo del Venerdì Santo. Le aziende europee potranno ancora esportare determinati prodotti per uso civile e militare nel Regno Unito. A seconda delle circostanze, i cittadini europei residenti nel Regno Unito potrebbero dover fare domanda per il regime per la residenza permanente dei cittadini dell’UE entro il 31 dicembre 2020. I dettagli si trovano sul sito del governo britannico. I cittadini britannici devono controllare presso le autorità del paese in cui risiedono quali siano le procedure da intraprendere. In merito alla pesca, se il Regno Unito approvasse la piena reciprocità per l’accesso alle acque per la pesca, è già pronta la procedura per richiedere l’autorizzazione per pescare. Sarà permesso lo scambio delle quote fino al termine delle misure, fissato al 31 dicembre 2019. Una nuova proposta di legge presenta l’estensione delle misure di emergenza per il 2020. Nel caso in cui il Regno Unito non dovesse accettare la proposta sulla pesca, le aziende europee a cui è stato vietato l’accesso alle acque britanniche potranno richiedere un indennizzo dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.

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Un Commento

  • Splendido articolo, completissiimo. Come sempre, la grande stampa, tutta presa dai nostri pasticci interni, non ha dedicato nessuna reale attenzione o spiegazione della vicenda, che pure peserà su tutti. Bravissimo Donini!

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