Fine della partita?

Lunedì scorso, dopo una lunga giornata, per fortuna svoltasi senza incidenti (malgrado le minacce di alcuni fanatici trumpiani agli elettori democratici, che ha obbligato alcuni Stati a fornire a questi protezione armata), il Collegio Elettorale USA ha proclamato Joe Biden Presidente-eletto degli Stati Uniti con la prevista maggioranza di 302 voti contro 232.

Biden giurerà, com’è tradizione, il 20 gennaio prossimo. Nel frattempo, il 6 gennaio, le due Camere del Congresso dovranno certificare il voto del Collegio Elettorale. Almeno nella Camera dei Rappresentanti, il risultato è scontato, data la maggioranza democratica, ma anche alcuni senatori repubblicani hanno cominciato a prendere le distanze da Trump. Lo stesso lunedì, il Ministro della Giustizia, il già ultrafedele William Barr, ferocemente attaccato da Trump per essersi rifiutato di rendere pubblica prima delle elezioni l’indagine aperta contro il figlio di Biden e per aver dichiarato di non aver prove di frodi nelle elezioni stesse, ha dato le sue dimissioni.

La giornata viene dopo un mese di vergognosi tentativi di Donald Trump e dei suoi peggiori accoliti (ma con l’appoggio o almeno il silenzio di tanti maggiorenti repubblicani) di sovvertire il risultato elettorale e pervertire la democrazia. Più di cinquanta ricorsi legali, tutti respinti, spesso in termini duri, da Giudici e Corti, per lo più a maggioranza repubblicana, fino alla Corte Suprema, e decine di tentativi di forzare Governatori e Parlamenti statali repubblicani a sovvertire il risultato, sostituendo i delegati eletti dal popolo al Collegio Elettorale con altri scelti dalla Legislature, tentativi tutti respinti sdegnosamente e con parole durissime. Uno spettacolo terribile, che è stato paragonato a quello di tiranni orientali morbosamente attaccati al potere o a quello di personaggi scespiriani follemente decisi a non accettare la realtà e rinchiusi nelle loro torri con attorno un numero sempre minore di scherani. Uno spettacolo senza precedenti in una democrazia occidentale, che speriamo il mondo dimentichi.

Nel frattempo, altri due clamorosi smacchi sono venuti ad aggiungersi alla crescente disfatta trumpiana. Tra i Repubblicani importanti che hanno riconosciuto la vittoria di Biden, e si sono felicitati con lui,  c’è ora il senatore McConnell, capo della maggioranza repubblicana al Senato e uno degli uomini più potenti nel Partito e nel Paese. Lo ha fatto al termine di un discorso nel quale si è sperticato a fare gli elogi della presidenza Trump, una contorsione necessaria per evitare, non la furia inevitabile di questo nuovo Re Lear, ma almeno per non alienarsi del tutto la massa di quelli che continuano a corrergli appresso. Però alla fine, l’ha detto: il Collegio Elettorale si è pronunciato, Joe Biden è il Presidente-eletto degli Stati Uniti. È un’ammissione di portata rilevante, se si pensa alle manovra che certi fanatici progettano ancora di realizzare nel Congresso. È del resto probabile che, passate le elezioni senatoriali in Georgia, altri Repubblicani si sentiranno liberi di parlare.

Il secondo smacco è venuto a Trump sul piano internazionale: dopo più di un mese di silenzio, Putin ha finalmente ha inviato a Biden un telegramma di felicitazioni. Cosa non scontata, dato il lungo, anche se alla fine non troppo fruttuoso, corteggiamento tra lui e Trump. Va detto che il riconoscimento viene subito dopo la scoperta da parte della Intelligence americana di pesanti azioni di spionaggio elettronico russo negli Stati Uniti, che hanno imbarazzato Mosca. L’improvviso realismo di Putin non rende quest’ultimo migliore, egli è e resta un tiranno senza scrupoli, come conferma, Crimea a parte, il tentato avvelenamento di Navalny, ma almeno prova che ha capito che in futuro dovrà trattare con un Presidente non disposto a fare sconti per convenienza personale.

Fine della partita, dunque? Non ci giurerei. Chissà quale altra sinistra manovra ideeranno ora Trump, Giuliani e qualche scalmanato nel Congresso, non solo il 6 gennaio, ma fino al 20 e, temo, anche oltre.

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