L’accordo di Natale
Che l’UE e la Gran Bretagna siano riuscite a concludere all’ultimissima ora, alla vigilia di Natale, un accordo che regola le loro relazioni successive al 31 dicembre, data in cui la GB uscirà definitivamente dall’Europa, non deve sorprendere chi ha una certa esperienza comunitaria e sa come siano condotti i negoziati a Bruxelles, spesso condotti fino al limite per strappare le ultime concessioni od ottenere qualche contropartita. Gli americani dicono di questo tipo di negoziato: “when things go tough, the tough keeps going”, che più o meno si può tradurre così: “quando le cose si fanno dure, i duri vanno avanti”.
L’accordo, più di duemila pagine più gli allegati, è estremamente complesso e tecnicamente difficile, salvo che per pochi esperti, per cui è impossibile valutarlo appieno. Per cui le principali capitali europee, pur accogliendolo con sollievo, hanno detto che dovranno esaminarlo in dettaglio prima di deciderne l’approvazione. Tuttavia, qualche prima considerazione può essere fatta. La prima è, ovviamente, che la mancanza di un accordo sarebbe stata dannosa per le due parti e specialmente per Londra (le Autorità inglesi avevano previsto una caduta del 2% del PIL annuale e la perdita di centinaia di posti di lavoro). La temporanea chiusura delle comunicazioni aeree e marittime aveva del resto mostrato il caos economico in cui stava precipitando la GB, e questo nel mezzo di una pandemia terribile, malgestita dal Governo. Questo Boris Johnson lo sapeva bene, come sapeva che la caduta di Trump toglieva una sponda d’appoggio alla Gran Bretagna. Per questo, al di là delle sue bravate nazionalistiche, ha alla fine accettato concessioni che hanno sbloccato le trattative. Dalla parte europea, la saggezza sempre più confermata di Angela Merkel e la personale iniziativa di Ursula Van der Leyen, hanno portato anche l’UE a fare qualche passo in avanti, superando resistenze (specie francesi, danesi e olandesi) che erano parse poter far capottare tutto.
L’Accordo regola un po’ tutta la somma dei rapporti euro-britannici, intrecciatisi in quarant’anni di convivenza. In estrema sintesi, può dirsi che dopo il 31 dicembre gli scambi commerciali resteranno esenti da tariffe o quote, ma verranno reintrodotti i pesanti e costosi controlli doganali, per cui il traffico di merci non sarà mai più fluido e agevole come nel passato. Inoltre, dall’Accordo restano esclusi i servizi, tra cui quelli finanziari che interessavano specialmente la City di Londra. Le due parti hanno riconosciuto il principio della parità di condizioni nella produzione di beni, e sono state stabilite alcune regole (anche se non quelle volute inizialmente da Bruxelles) per una periodica revisione della situazione e per il diritto delle due parti ad aggiustamenti tariffari in caso di violazione. Sul tema della pesca in acque britanniche, importante per i paesi europei costieri, Londra ha accettato un periodo transitorio di 5 anni e mezzo e un “ritorno” del pescato del 25% (aveva chiesto in origine il 60%), con la previsione di un successivo negoziato una volta scaduto il periodo.
Su altri piani, la Gran Bretagna mantiene accesso a una certa collaborazione con l’UE in materia giudiziaria e di sicurezza, ma esce da EUROPOL ed EUROJUST. Finisce la libera circolazione con il Continente e i cittadini reciproci avranno bisogno di visti per soggiorni superiori a determinati periodi. Gli studenti inglesi restano esclusi in futuro dal programma Erasmus. Insomma, dal 31 dicembre, la GB diventa quello che ha voluto essere, ed è giusto che sia: un paese estraneo all’Europa, un’isola ormai sola nel mondo, con qualche rapporto in più rispetto a paesi totalmente alieni.
La saga apertasi con il Referendum del 2016 però non è del tutto finita. II 27 Governi dovranno approvare il testo e applicarlo provvisoriamente, in attesa della ratifica del Parlamento Europeo, che non avverrà prima di fine gennaio e sarà certo dibattuta. E l’accordo deve essere approvato dal Parlamento britannico. Se uno pensa alla serie tragicomica delle bocciature al testo firmato dal governo di Theresa May, c’è da incrociare le dita.
Naturalmente, Boris Johnson, con stile trumpiano, ha già gridato vittoria e cerca di apparire un eroe della sovranità nazionale, ma le sue bravate non devono stupire perché sono nel suo stile demagogico-populista. Tra l’altro, ha bisogno di vendere un presunto successo ai suoi elettori e soprattutto ai deputati conservatori dell’ala entieuropea più dura.
Le dichiarazioni dal lato europee sono state molto più sobrie. Ursula Van der Leyen, Macron e la Merkel hanno rilevato che è stata salvaguardata l’integrità del mercato interno e che la solidarietà mantenuta dai 27 lungo tutto il negoziato si è dimostrata pagante.
La Merkel ha aggiunto che è il momento di lasciarsi la Brexit alle spalle e andare avanti. Macron ha detto che ora l’Europa deve mostrarsi “unita, sovrana e forte”. Non potrei essere più d’accordo.
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