Rapporto Prometeia sul futuro dell’economia
Lo scorso 18 dicembre Prometeia ha presentato il “Rapporto di previsione dicembre 2020” con l’outlook sul futuro dell’economia. I temi della previsione e i rischi sono stati presentati da Lorenzo Forni, Segretario Generale di Prometeia Associazione. L’andamento dell’economia italiana Stefania Tomasini, Partner Prometeia. Il contesto internazionale da Lorena Vincenzi, Senior Specialist Prometeia. Dopo il forte rimbalzo nel 3° trimestre 2020, superiore persino alle previsioni, l’arrivo della seconda ondata ha comportato un calo nel 4° e si prevede un andamento molto debole nel 1° trimestre 2021. La situazione dovrebbe migliorare nel 2° trimestre 2021 con l’inizio della distribuzione dei vaccini, e con le politiche monetarie e fiscali che continueranno a sostenere la ripresa con manovre espansive. In aggiunta dovremmo vedere nel 2021 anche maggiori certezze nel contesto del commercio mondiale e una ricollocazione in termini più certi delle catene di distribuzione globale.
La crisi ha inciso in maniera differente sulle due sponde dell’Atlantico, se gli USA hanno visto un calo del pil del -4,2% nel Q3 e -3,6 nel Q4, l’Europa ha fatto peggio di quasi il doppio e l’Italia si è dimostrata il fanalino di coda europeo toccando quota -9,2%. Il rimbalzo del Q3, come detto, è stato incoraggiante, spinto da appropriate politiche monetarie europee, ma se riguardo redditi e liquidità delle famiglie, queste ne hanno visto i benefici financo al ristoro del 50% della perdita, altrettanto non si può dire per consumi e investimenti. D’altronde gli indici di stringency e mobility hanno visto l’andamento seguire le due ondate, allo stato attuale si posiziona a +80% il primo e -40% il secondo. Il debito pubblico italiano è aumentato di € 200mld nel 2020, acquistati quasi totalmente dalla BCE, a parte la piccola parte composta di debiti SURE e RRF. L’esposizione rimane allo stesso livello rispetto il mercato privato, aumentando la parte di quello detenuto dall’Eurosistema e riposizionando la massa debitoria su terreni meno soggetti agli umori del momento. Il calo del reddito è stato sostenuto dalle politiche fiscali, ma il calo delle risorse si è contrapposto a un calo dei consumi di molto maggiore, indirizzando le risorse stanziate ai depositi e non al rilancio dell’economia.
Passando al commercio mondiale si prevede che la nuova amministrazione Biden porterà a una riduzione dei dazi contribuendo al rilancio dell’economia, anche se questo sarà tutto da valutare in futuro. Le incognite riguardo il futuro sono innumerevoli, negli ultimi 25 anni l’Italia è cresciuta appena del +5%, poca cosa in confronto al +30% della Germania, +30% della Spagna, +26% della Francia. Se gli investimenti sono ripartiti, per l’appunto sono i consumi a essersi fermati e i crediti erogati sono andati ad aumentare i depositi, tutto questo a causa del perenne clima di incertezza che grave sui cittadini. D’altronde l’anno finirà lasciandoci con 1.700.000 unità lavorative in meno, un pil a -6% e la forte asimmetria della crisi che ha colpito in particolare giovani, donne, lavoratori non specializzati.
Per quanto attiene il NextGenerationEU il giudizio sulla ripartizione dei fondi è giocoforza sospeso in attesa di certezze, ma si può valutare il profilo temporale di utilizzo che vede un timing 2021-2026. E’ certo che tutti i 209mld verranno utilizzati, ma solo una parte sono da considerarsi fondi addizionali, ovvero destinati a spese che altrimenti non sarebbero state effettuate, questa quota parte ammonta a 109mld. Il rimanente andrà a finanziare spese già previste e quindi non incideranno su una crescita ulteriore, ma svolgeranno semplicemente il compito già previsto. Le previsioni Prometeia prevedono che i fondi addizionali andranno ad aumentare con il procedere della timeline, concentrandosi sugli ultimi anni del PNRR. Un’incognita rimane la capacità di spesa degli investimenti pubblici, il trend storico vede un impegno al 2,2-2,4%, le previsioni rispetto i fondi in arrivo dovrebbero godere di un improvviso innalzamento al 3,5%. Sarà quindi necessario un impegno straordinario per legificare, programmare, spendere, una criticità da sempre presente nella macchina burocratica pubblica italiana. Gli effetti difficilmente saranno immediati, la spesa addizionale sarà forte nei primi anni, ma produrrà i suoi effetti a distanza nell’arco di un quinquennio. E’ certo che nemmeno nel 2023 saremo tornati ai livelli pre-covid, ma men che meno a quelli pre-crisi 2008 cui non eravamo tornati nemmeno a dicembre 2019. In sintesi dovremmo passare da un pil al -9,1% nel 2020, al +4,8% nel 2021 e vedere un +3% medio nel biennio 2022-2023.
La crescita superiore alle attese in molti paesi si traduce nel fatto che solamente la Cina tornerà ai livelli pre-crisi. I motivi risiedono nella particolarità della crisi covid, che è asimmetrica e ha colpito in maniera particolare il settore dei servizi, mentre la Cina ha una quota industriale significativamente superiore a quella di Stati Uniti ed Europa. Oltre il discorso quote la ripresa della Cina è stata decisamente molto forte, ma la domanda da porsi è se Pechino riuscirà a fare da locomotiva all’economia mondiale. Se nel periodo 2009-2010 la Cina aveva investito 10 punti di pil investendo in infrastrutture e facendo da volano al resto del mondo, ora ha stanziato 5 punti del pil, ma in investimenti per famiglie e imprese. Questo si riflette in un minore impatto verso le economie europee, per cui la Cina rimane un mercato ancora marginale, mentre ai primi posti troviamo il Giappone e il sud-est asiatico, con un focus acceso sulla Russia che ha raddoppiato le esportazioni verso Pechino negli ultimi anni.
Non bastasse il quadro generale, ora si è inserito nello scenario il RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), che include 3 delle 4 grandi economie asiatiche: Cina, Giappone e Corea del Sud (India per ora resta alla finestra). Non solo questo accordo si contrappone al TPP da cui gli Stati Uniti di Trump erano usciti, ma le importazioni dell’area RCEP rappresentano il 30% di quelle mondiali e USA+Europa pesano per il 50%. Il caso cinese si incrocia con il consumo di rame e rappresenta un importante indice per le attese dei mercati, l’aumento della produzione industriale cinese ha fatto alzare il prezzo del rame a quota $ 7.000 per tonnellata, e i mercati sono molto attenti ai movimenti delle commodities. Si è quindi rafforzato il cambio dello yuan rispetto il dollaro, passando da un rapporto a 7 al 6,6 attuale, attraendo investimenti esteri.
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