Beatrice Carbone, Movenze al femminile
E’ ballerina Solista del Teatro alla Scala di Milano. Figlia d’arte, inizia a studiare danza con la madre, Iride Sauri, già Prima Ballerina al Teatro La Fenice di Venezia, mentre il padre Giuseppe Carbone vanta una lunga carriera come Direttore del Ballo in molti grandi teatri in Italia e all’estero. Stiamo parlando di Beatrice Carbone che dopo una formazione alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala, dove si diploma brillantemente in soli tre anni, entra subito a far parte del Corpo di ballo scaligero e inizia ad interpretare importanti ruoli che la portano, a soli ventun anni ad essere promossa Solista dall’allora direttrice Elisabetta Terabust. Vince numerosi premi come giovane promessa della danza italiana e, nella sua brillante carriera, affronta tutti i più importanti titoli del repertorio classico e le creazioni dei più grandi coreografi contemporanei. Tra i suoi partner sulla scena troviamo grandi nomi del balletto internazionale, come Roberto Bolle, Maximiliano Guerra e Massimo Murru, ed è spesso ospite in spettacoli e gala di prestigio in importanti teatri internazionali, oltre a trasmissioni televisive. Inoltre, per un anno è Solista ospite al Ballet du Capitole di Toulouse. Negli ultimi anni al suo ruolo di danzatrice affianca anche quello di insegnante ed è, inoltre, impegnata nella promozione di giovani stelle della danza in eventi di prestigio e nell’organizzazione di spettacoli coreutici. Grazie all’incontro con Julia Nemes, Beatrice decide, quindi, di mettere la sua esperienza di oltre 25 anni di palcoscenico al servizio di nuovi progetti di alto livello creativo e impatto sociale. Da qui nasce Movenze al femminile.
Buongiorno Beatrice, piacere di conoscersi. Leggendo la tua biografia si vede che hai cominciato molto presto, un poco anche predestinata vista la famiglia che hai alle spalle.
Ho iniziato verso i 7-8 anni, che è l’età per cominciare veramente a fare danza. Prima si tratta per lo più di una sorta di ‘gioco danza’, ma questo lo facevo già a casa guardando mia madre che ballava. Poi mi ascoltavo le musiche sullo stereo di casa, guardavo le videocassette e danzavo davanti allo specchio, ma come scuola di ballo vera e propria ho cominciato con il primo corso a 8 anni. E’ un’età in cui riesci a ricordare passi e movimenti, questo è il momento giusto a meno che non sei una sorta di Mozart della danza, cosa piuttosto rara. Tieni presente poi che fino ai 17-18 anni non hai comunque modo di lavorare. Ho iniziato quindi con la mia mamma come maestra a Venezia a 8 anni, contemporaneamente mio padre era Direttore del corpo di ballo a Verona e veniva a casa nei weekend. In seguito, lui ricoprì due volte il ruolo presso il Teatro alla Scala a Milano, in quella occasione mi presentai per l’esame di ammissione, assieme a mio fratello minore. Entrambi fummo ammessi alla scuola e iniziammo un percorso di studio veramente intenso e impegnativo. In quel contesto il livello è altissimo, si richiede un impegno pari al luogo in cui ci si trova. Questo ci ha anche forgiati come professionisti, della specie, come si suole dire, “duri a morire”.
Come dicevamo vieni da una famiglia di eccellenze, in questi casi viene spontanea la domanda se questo, al di là del fatto che poi tutto te lo devi guadagnare con tanto duro lavoro, è stato un vantaggio o meno. Immaginando che, forse proprio per questo, hai dovuto impegnarti ancora di più per dimostrare che il tuo successo non è dovuto all’endorsement famigliare?
Come in tutte le cose c’è il dritto e il rovescio della medaglia. Tramite i miei, io e i miei fratelli conoscevamo già tutti nell’ambiente, miti come Nureyev e Carla Fracci, era normale trovarseli a tavola in casa o al ristorante. Certo che quando sei figlio di un direttore passi come il raccomandato del momento, al punto che a volte mio padre mi metteva un passo indietro proprio per non fare pensare a nepotismi. Un anno poi abbiamo proprio lavorato assieme, lui era direttore e io ballerina, ero già solista e non ero stata promossa da lui, quindi questo problema è stato evitato. Poi le voci ti arrivano, ci sono sempre gli amici e gli invidiosi, inoltre considera che se avessi fatto degli errori questi, inevitabilmente, si sarebbero riflessi sui miei genitori. Ma tirando le somme, il lato positivo è stato sicuramente molto maggiore delle passività.
Certamente sei salita sul tetto del mondo come ballerina solista al Teatro alla Scala, ma a parte questo c’è stata qualche altra esperienza, o aneddoto particolare, da ricordare?
A 38 anni sono andata via per un anno dal Teatro alla Scala per entrare al Ballet du Capitole di Toulouse, in Francia, in quanto avevo il desiderio di scoprire nuove realtà. E’ stata un’esperienza assolutamente positiva, ma a parte questo mi ha fatto comprendere come a volte non ti rendi conto di quanto sia bello quello che hai. Il Ballet du Capitole è una bellissima compagnia con un grande repertorio, ma questo mi ha portato a rivalutare ancora di più la realtà che avevo vissuto fino a quel momento. Sono rientrata al Teatro alla Scala ancora più felice di prima. Pur avendo girato tutto il mondo, l’unico altro Teatro dove mi sono emozionata come alla Scala, è stato quando sono salita sul palco del Bolshoi. Ma anche tutti gli altri artisti mondiali mi hanno sempre detto come abbiano vissuto questa stessa sensazione rispetto il nostro teatro milanese.
Se mi consenti una battuta, sei sicuramente invidiata da tutte le donne, oltre che per il successo da ballerina, per avere lavorato con il grande Roberto Bolle.
E non solo lavorato, siamo stati anche fidanzati, poi siamo rimasti amici. A parte questo lui è un grande esempio di etica lavorativa, tutti i giorni lui si allena e fatica per ore, si guadagna tutto quello che ottiene, non fa praticamente vacanze, pare bionico.
Con questa parentesi gossip, in realtà volevo portarti a un discorso più profondo, ovvero come la società moderna, non lo sia per quanto attiene certi stereotipi. Ovvero i ballerini uomini restano una piccola minoranza e si continua nell’assioma medievale che la donna danza e l’uomo gioca a calcio, cosa ne pensi?
Con infinito dolore devo darti ragione, sono esperienze che capitano, so di un bambino di due anni pesantemente bullizzato proprio perché si è dato alla danza, pensa che ne ha risentito così tanto da ammalarsi. Se un fanciullo vuole esprimersi tramite la danza, il proprio corpo, la musica, non dovrebbe capitare che nel 2020 ancora venga bullizzato per questo.
L’ermergenza Covid19 ha influito anche sulla vostra attività, con la chiusura dell’attività, dei teatri, dei luoghi di cultura, ma non di culto. Visto l’impegno del mondo dell’arte nel rispetto delle normative anti-pandemia, e dei numeri risibili di contagi che il ministero stesso ha rilevato, non ritieni che in Italia esista un problema cultura? Come diceva un ministro anni “con l’arte non si mangia”?
L’emergenza covid ha fatto soffrire tante categorie, la nostra come i ristoratori ad esempio, ma non saprei cosa dire, in una situazione dove ancora ci sono tanti contagi, è difficile trovare l’equilibrio giusto. Abbiamo avuto molti casi nel coro che è stato messo in quarantena, a parte questo la situazione è rimasta sotto controllo. Ma poi abbiamo il pubblico che entra, il quadro è complesso e di difficile gestione. Detto questo, è vero che l’arte è vista sempre come il parente povero, mentre siamo il paese più ricco di arte e cultura, e questa è un vero e proprio nutrimento per l’anima e lo spirito.
Arriviamo a questo tuo nuovo progetto, Movenze al Femminile, di cosa si tratta esattamente? E’ la riscoperta della parte più femminile della donna in contrapposizione a un modello che vuole la donna diventare “maschia” in un certo senso?
Parlando con un’amica mi sono resa conto di come sia spesso difficile rimanere a contatto con la propria parte femminile. Per il lavoro che faccio a me risulta piuttosto facile, ma non per tutte è così, indipendentemente dal lavoro che svolgano. Nel ruolo di manager, madre, casalinga, ecc. si tende a mettere in secondo piano la propria sensualità, perché noi donne siamo veramente forti e portiamo a termine quello in cui ci impegniamo mettendolo al primo posto, spesso a discapito di noi stesse. Così è nata questa iniziativa online rivolta alle donne per le donne, che ha visto un primo corso iniziare lo scorso settembre e un secondo corso in previsione per il prossimo febbraio. Abbiamo scelto, per ispirazione, come icona della femminilità Audrey Hepburn e per la sensualità Marilyn Monroe, due meraviglie della natura, ma sempre di classe e mai volgari. Dopo il successo del primo corso, le tante richieste pervenute ci hanno convinto quindi a predisporne un secondo: il nuovo percorso avrà inizio il 1° febbraio ed è prevista una Open Class di prova gratuita domenica 17 gennaio alle ore 18 su Zoom (per iscriversi all’Open Class). Un mese di femminilità, un mese di sensualità e il terzo mese lavoreremo sulla sinergia tra le due caratteristiche; sarà poi possibile proseguire la pratica con un quarto mese di approfondimento, volto a esplorare femminilità e sensualità appartenenti a diverse culture, a completamento del percorso.
Trovo il tutto bellissimo, ma la donna può rimanere sé stessa, con la sua intrinseca fragilità e dolcezza, e aggiungere questi elementi alla propria possibilità di carriera facendone un plus rispetto l’uomo piuttosto che un minus?
Hai centrato perfettamente il discorso, capita che costringono le donne a diventare delle ‘uome’ per fare carriera. Noi possiamo restare noi stesse, valorizzando la nostra femminilità, e fare carriera egualmente. Penso che l’uomo e la donna si completino, e che inconsciamente la donna abbia accantonato una parte del proprio io per adeguarsi al mondo maschile, cosa che come dicevi, è ora di riportare a galla.
Io ho finito il percorso di domande che avevo preparato, hai qualche cosa da aggiungere?
Preparati e preparatevi uomini, perché entro un paio di anni partiremo con ‘Movenze al Maschile’, dopo le donne ci prenderemo cura di voi. Dobbiamo decidere che sfumatura dare, non vogliamo accentuare ulteriormente la parte maschile, ma lavoreremo sempre con movimento e vibrazioni.
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