La colpa è di Pelagio
Uno alle volte pensa: ma Trump è diventato un’ossessione? E se magari mi sbaglio? Se niente niente egli è meglio di quello che dicono di lui la grande stampa, i democratici e, sottovoce, tanti repubblicani? Molti, ancora, lo difendono, qualche esaltato dice che è stato il più grande Presidente di tutti i tempi (e lui lo pensa e lo dice di sé): tante grazie per Abraham Lincoln, Franklin Delano Roosevelt, John Kennedy.
Allora, per rassicurarmi, sono andato a cercare nella straordinaria stampa americana quello che i suoi più servili sostenitori attuali dicevano di lui nel 2016 e ho scelto i più accaniti, i senatori repubblicani del Sud come Ted Cruz, Lindsay Graham, Marco Rubio. Divertiamoci insieme.
Ted Cruz: “Trump è completamente amorale, un narcisista quale questo Paese non ne ha visto mai. È un bugiardo patologico, non sa la differenza tra verità e menzogna. Mente ad ogni parola che esce dalla sua bocca”. Lindsay Graham: “Trump è un razzista, xenofobo. Bigotto. Non rappresenta il mio partito, non rappresenta i valori per i quali uomini e donne in uniforme combattono”. Marco Rubio: “Siamo alla vigilia di vedere qualcuno che prende il controllo del movimento conservatore e che è un artista dell’imbroglio. La persona più volgare che abbia mai aspirato alla presidenza degli Stati Uniti”.
Esageravano? Alla prova dei fatti, direi proprio di no. Però questi personaggi, per quattro anni hanno ossequiato e servito Trump nel modo più piatto. Si erano ricreduti? Ma no, erano politici ansiosi di stare il più vicino al potere (ricordo lontani racconti di Kruscev, che da Stalin aveva subito le peggiori umiliazioni, compresa quella di essere obbligato a ballare davanti a lui, e inghiottiva tutto, salvo vendicarsi a Stalin morto). Dei tre, solo Lindsay Graham ha accennato a una pallida resipiscenza dopo l’assalto al Congresso, esclamando “Ora basta: il troppo è troppo!”. Ted Cruz ha guidato il manipolo (piuttosto sparuto) dei senatori repubblicani che hanno cercato di contestare il risultato elettorale prima e dopo l’assalto. Credeva realmente alle frodi? Ma andiamo! Continuava a fare il suo gioco, sperando di ereditare il manto di Trump nell’estrema destra razzista (il che, tra l’altro, presuppone che Trump scompaia dalla scena o almeno non si ripresenti nel 2024, se no addio calcoli di successione!). Finora, bene bene non gli è andata, visto che i due principali quotidiani del Texas, dove è stato eletto, gli hanno chiesto di dimettersi.
E non sarà il solo a contendersi l’eventuale eredità trumpiana: si è affacciato sulla scena con prepotenza un giovane senatore neo-eletto, Josh Hawley, lo stesso che si è fatto fotografare mentre salutava con il pugno alzato i rivoltosi davanti al Congresso. Hawley è ancora più a destra di Cruz e magari dello stesso Trump e, manco a dirlo, in sintonia con i più protervi “suprematisti bianchi” e in apparenza è più serio, un vero intellettuale che viene dalle migliori università, e sostiene – in tutte le sue interviste e discorsi – che la colpa di tutto è di… Pelagio, un filosofo tardo-romano che sostenne il diritto e la responsabilità di ciascuno di scegliersi le proprie idee e la propria vita.
Per questo giovanotto bianco di famiglia ricca, il mondo deve essere governato da una ristretta élite di religiosi conoscitori della volontà divina e capaci di imporla a tutti: una specie di Islam cristiano. Niente libertà personale, niente libertà in assoluto, ma sottomissione a Gesù Cristo. Signore e padrone di tutto. A me, la cosa che dà il voltastomaco è che questo politicante usa e abusa del nome di Gesù, dandone una versione che è lontana anni luce dal Vangelo. Cosa per verità non inedita, ma tipica della perversione che del Cristianesimo fanno i “white supremacist” e persino il KKK, ma anche tanti predicatori protestanti, arricchitisi sulla credulità beota degli innocenti. Davvero ci vorrebbe una nuova cacciata dei mercanti dal tempio!
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