Spread, tra realtà e illusione

Il 2014 inizia con lo spread – cioè il differenziale tra l’interesse che gli investitori chiedono per comprare titoli del debito pubblico italiano e quello tedesco – sotto 200 punti base e un Btp decennale con un rendimento sotto il 4%. Sembrano passati anni luce da quando lo spread veleggiava oltre 500 punti base, con l’Italia sull’orlo del collasso finanziario.

La politica ha cercato subito di strumentalizzare la notizia, come sempre avviene fin dal famoso novembre 2011, mese delle dimissioni di Berlusconi, quando vi era chi incolpava solo il Cavaliere per lo spread alle stelle, mentre lo stesso Berlusconi definiva lo spread un’invenzione, per arrivare a Monti e Letta che hanno cercato di intascare i meriti della discesa, giustificandola con la stabilità di governo. Tutti cercano di fare propaganda politica prendendosi meriti e scaricando colpe, ma in medio stat virtus.

Cerchiamo di affrancarci dalla sterile polemica politica e di analizzare la situazione in modo razionale. A livello finanziario le cose sono migliorate, soprattutto, o forse esclusivamente, grazie all’intervento della BCE ma dietro ai numeri finanziari si cela un realtà cambiata poco da allora, con un economia reale al collasso e disoccupazione alle stelle.

Tornare sotto quota 200 basis points non è un effetto dovuto principalmente della stabilità del governo, così come a 570 lo spread non era solo dovuto allo stallo sulle riforme del governo Berlusconi.  Ci sono alcuni fattori che hanno spinto lo spread sotto 200: il primo è dettato dalle mosse della BCE (iniezioni di liquidità, scudo antispread) che hanno rassicurato gli investitori sul debito dei paesi periferici; gli investitori alla ricerca di un rendimento migliore del Bund, tranquillizzati da Mario Draghi, hanno acquistato i titoli di stato dei paesi periferici che offrivano rendimenti 4-5 punti sopra ai titoli a 10 anni dei paesi con debito a tripla A.

Un’altra ragione è meramente matematica:  da un anno a questa parte, è il rendimento tedesco ad essersi alzato da poco più dell’1% al 2%, mentre il nostro è al 4%. Dopo tutte queste ragioni, anche la stabilità politica può influire ma di certo non è il fattore principale. E’ chiaro che se cadesse il governo e non rispettassimo i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles lo spread potrebbe risalire.

Ma quanto si riesce a risparmiare sui conti pubblici per il pagamento degli interessi sul debito? Considerando i 400 miliardi di emissioni lorde annuali di debito pubblico italiano e la vita media dei titoli in essere (scesa da oltre 7 anni a poco meno di 6, in 2 anni, perché a spread alti è meglio per lo Stato rinnovare Bot di breve durata che titoli pluriennali), si calcola un risparmio di circa 14 miliardi di euro di minori interessi sul debito pubblico nel triennio successivo. Il ministro Saccomanni e il Premier Letta hanno detto che con lo spread sotto quota 200 si libereranno risorse aggiuntive per la crescita nel 2014: fanno propaganda. In realtà le previsioni dell’esecutivo, sottese alla legge di stabilità appena approvata, già inglobano uno spread per il 2014 a quota 150, la minor spesa per interessi sul debito è già prevista nei conti pubblici e la stima delle entrate 2014 è formulata sulla base di una previsione di crescita del Pil 2014 all’1,1% superiore, se non doppia, rispetto a tutte le previsioni di istituzioni nazionali e internazionali. Quindi sorprese positive sono improbabili, anzi sarebbe già da stupirsi se dovesse andare come preventivato dal governo nella legge di stabilità.

L’Italia nonostante lo spread rimane un paese debole, con poche prospettive di crescita perché il debito è troppo alto, le tasse sono a livelli insostenibili, e la spesa pubblica è elevata. Tutte queste variabili vanno ridimensionate e nessuna può essere abbassata se non si interviene contemporaneamente sulle altre. In particolare non si possono abbassare le tasse se non si taglia la spesa pubblica e non si abbatte il debito. Lo spread è solo un effetto, volatile e influenzato da troppi fattori, per essere l’unica misura affidabile dei reali problemi dell’Italia.

©Futuro Europa®

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Un Commento

  • Sono d’accordo solo parzialmente e spiego perché:
    1.Va da sé che la discesa dello spread non è solo frutto dei Governi Monti e Letta, ma questi ne portano almeno parte del merito, non per la stabilità, che di per sé non basta, ma per la credibilità in materia di impegni fiscali. Chi conosce da vicino gli ambienti di Bruxelles e di Francoforte sa bene che nel 2011 la credibilità di Berlusconi e quindi dell’Italia in Europa e nei mercati era scesa zottozero.
    2.Non mi pare, in coscienza,che la discesa dello spread sia oggetto di speculazione politica: il Premier, timidamente com’è suo stile, la rivendica, ma tra le forze politiche son più quelle che la ignorano o la sottovalutano, da FI a Grillo, che quelle che ne parlano.
    3. Che l’economia italiana resti fragile è un dato di fatto. É un po’ curioso però il ragionamento che, da un lato, attribuisce molto correttamente questa fragilità alla mole del debito, e dall’altro nega il sollievo che viene, o verrà, da un minor costo dello stesso. Il fatto che il risparmio previsto sia stato già, in qualche modo, scontato nelle previsioni del governo di uno spread sotto i 150 punti è del tutto secondario. Quello che importa è che un risparmio ci sia. Comunque lo si valuti,sono miliardi di euro in meno gettati dalla finestra, soldi che altrimenti dovrebbero essere trovati con nuove tasse o comprimendo ancora la spesa pubblica.
    In conclusione, il calo dello spread è lungi dal risolvere tutti i problemi della nostra economia (quale altra azione di governo può risolverla nel breve termine, peraltro, nessuno lo ha finora indicato in modo concreto e realistico, al di là di generici ammonimenti.) Però un piccolo aiuto lo offre. Il resto richiede tempo, pazienza, una congiuntura mondiale favorevole, qualche vera riforma strutturale nella spesa pubblica e nella competitività. Cose non realizzabili da un giorno all’altro, e molta serietà, zero demagogia, zero populismo, zero scorciatoie facili. E forse richiede che un po’ tutti guardiamo con un minimo di maggiore fiducia al futuro. Perché, come tutti sanno, la fiducia è un fattore concreto e positivo, e in certe occasioni persino decisivo, per rimettere in moto il meccanismo “consumi-risparmio-investimenti” su cui l’economia reale funziona. Con simpatia.

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