La nave in porto

Con lo scioglimento della riserva, la lista dei Ministri e il giuramento, la nave Draghi è in porto,  anche se manca la fiducia del Parlamento, nel quale, sulla carta, la maggioranza è schiacciante. Ora si è scatenata l’agiografia di Draghi, com’è normale che avvenga, perché si tratta di un personaggio davvero eccezionale, con un percorso impeccabile e qualità quasi senza pari in Italia.

È giusto ricordare il ruolo decisivo che ha avuto, come Presidente della BCE, nel salvataggio dell’Euro e quindi dell’integrazione europea e, collateralmente, delle nostre finanze, e tenere in mente che lo ha fatto affrontando le resistenze e l’ostilità di paesi importanti, come la Germania e l’Olanda. Se esiste un ristretto pantheon dei grandi che hanno fatto all’Europa, dopo Adenauer, Degasperi, Schuman, Spaak, penso che Draghi merita un posto centrale accanto a Jacques Delors, tra i personaggi che hanno svolto un ruolo storico nel difendere e rilanciare l’integrazione.

È stato ricordato da qualche parte, giustamente, che Draghi non è solo un tecnico: nei suoi successivi incarichi ha svolto in realtà opera politica, nel senso più alto e nobile del termine, se politica è l’arte di servire la “polis”. Del resto, la sua formazione e la sua vocazione keynesiane lo hanno portato a uscire dagli steccati dell’economia e a capire fino in fondo la necessità della coesione sociale, che il capitalismo selvaggio porta a disprezzare, e la sua lunga esperienza ai vertici del Tesoro e poi della Banca d’Italia e della BCE gli ha dimostrato la necessità vitale che, in un’economia moderna, lo Stato o le grandi istituzioni finanziarie intervengano per evitare distorsioni, rilanciare quando necessario il ciclo economico e assicurare la possibile eguaglianza sociale. Ciò non fa di lui certamente un socialista, ma un riformista nel senso migliore della parola, uno che capisce che la libertà economica e la libertà d’impresa, per sopravvivere, hanno bisogno di attuare sulla base di regole sempre aggiornate alla realtà sempre più mobile dei nostri tempi. Sono le idee del suo professore di politica economica a La Sapienza, Federico Caffè, che anch’io, senza essere stato suo allievo,  avevo conosciuto e amato, e di cui parlavamo spesso nei nostri incontri romani con Draghi.

Ma ci sono qualità che forse non sono state sufficientemente ricordate: il suo rigore intellettuale e morale, unito a una straordinaria chiarezza delle idee. Le ho constatate negli anni in cui, da Direttore Generale degli Affari Economici alla Farnesina, ho strettamente collaborato con lui, giovane Direttore del Tesoro, dapprima negli istituti per il credito e l’assicurazione alle esportazioni, nei quali abbiamo compiuto insieme una profonda, a volte dolorosa, opera di risanamento (erano gli anni di Mani Pulite, la corruzione era un male onnipresente), poi nella fase delle grandi privatizzazioni: Ciampi era Presidente del Consiglio, Andreatta Ministro degli Esteri, Barucci Ministro del Tesoro, una rara combinazione di persone di prim’ordine. Draghi presiedeva il Comitato per le Privatizzazioni, a me era stato affidato il negoziato con Bruxelles. Negoziato non facile, perché privatizzare l’IRI e l’ENI senza svenderle richiedeva innanzitutto rifinanziarle; di  questo il Tesoro era convinto e Draghi era pronto ad agire. Ma il Commissario alla Concorrenza a Bruxelles, un inglese arrogante e ottuso, si opponeva per ragioni di malinteso principio. Scelsi di approfittare di un periodo estivo, in cui il Commissario era in vacanza e il suo interim era stato assunto dal Presidente della Commissione, Jacques Delors. Con lui e con l’aiuto del suo Capo di Gabinetto, Pascal Lamy, il problema fu risolto e potei portare la buona notizia in una delle riunioni settimanali che tenevamo a Palazzo Chigi con tutti i protagonisti della vicenda. Ricordo l’esultanza di Ciampi e di Andreatta (il quale finalmente sbloccò la mia partenza per l’Estero, dove ero stato designato Ambasciatore presso la NATO), e ricordo anche un (raro) sorriso sul volto normalmente serio e sobrio di Draghi, un uomo non portato alle espansioni e abituato a dare la sua stima con il contagocce.

Direi che queste qualità lo hanno accompagnato nel resto della sua carriera e lo aiuteranno in questa fase del suo percorso. Una fase ardua, non illudiamoci, la classe politica è quello che è. Draghi ha realizzato una sorta di miracolo, riunendo sulla stessa barca PD, 5 Stelle, Lega, Forza Italia, LeU, Italia Viva. Il miracolo si deve, ovviamente, ad alcuni fattori precisi: la volontà di Mattarella, la percezione della grande sostegno della gente a Draghi, la signorilità di Giuseppe Conte, il senso della “ultima spiaggia”; ma anche, riconosciamoglielo, il buon senso di due improbabili personaggi, Berlusconi e Grillo. Dopo le elezioni del 2013, un quotidiano di Londra pubblicò una vignetta con una caricatura dei due e il sottotitolo “Enter the clowns” (entrano in pista i pagliacci). Arroganza inglese, certo, ma sintomo dello sprezzo con cui in Europa si guardava alle vicende italiane e del discredito in cui ci avevano gettato Berlusconi prima e Grillo poi con le loro buffonate. Ora i “clowns” sono tornati in pista ma, a loro credito, in veste di statisti moderati e pensosi del bene della Patria.

Meglio così, finché dura. Ma di potenziali clowns ce ne sono altri, da Salvini convertito sulla via di Bruxelles in giù. Il sospetto è che tutti saranno più o meno soddisfatti di lasciare Draghi risolvere le emergenze maggiori, ma poi le risse e le coltellate ricominceranno.

©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione

Condividi
precedente

Quarant’anni fa iniziava l’era Reagan

successivo

Italia delle Regioni

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *